È stato nei tunnel di Gaza per 500 giorni, ha scritto il primo libro di un ostaggio israeliano liberato: “Non smetteranno di combattere contro di noi finché non torneremo da dove siamo venuti”
“Guardo le mie figlie negli occhi. Noiya ha sedici anni. Yahel appena tredici. Cerco di rassicurarle, dico che andrà tutto bene. Non gridano. Non piangono. Non dicono una parola. Sono paralizzate dalla paura. Non dimenticherò mai il terrore nei loro occhi”. Inizia così “L’ostaggio” (Newton Compton e in contemporanea negli Stati Uniti per Harper Collins), il libro di Eli Sharabi, una terrificante storia di fame e tortura che dovrebbe essere letta nelle scuole “dal fiume al mare” e nelle piazze coi kalashnikov che dicono “no al sionismo”. Sharabi parla del tempo passato coi suoi rapitori. “Uno mi fa lezione su come vede il mondo: che questa terra è loro, tutta. E che io dovrei tornare in Marocco o in Yemen, da dove venivano i miei nonni”. Moglie, due figlie e il fratello uccisi, Sharabi è stato 500 giorni nei tunnel di Gaza e questo suo memoir è il primo libro di un ostaggio israeliano liberato in corso di pubblicazione in tutto il mondo.
“La mia prima esperienza non è stata solo con i combattenti di Hamas, ma anche con una folla di civili in delirio – uomini, donne, bambini – che lottava per farmi a pezzi” scrive Sharabi nel libro. “I terroristi di Hamas dovevano respingere la folla. Non sapevo che mia moglie e le mie figlie fossero già state assassinate. La speranza che fossero vive mi ha sostenuto durante i 491 giorni di prigionia, una speranza che è stata infranta solo dopo il mio rilascio”. Sharabi per 500 giorni ha avuto modo di penetrare la loro mentalità. “La terra appartiene a loro, tutta la terra, tutto ciò che chiamano Palestina. Che si tratti dell’area al confine con Gaza o di Gerusalemme Est, Acri o Tel Aviv o Beit She’an: qui non c’è posto per gli ebrei e Israele non esiste. Non smetteranno di combattere contro di noi finché non ce ne andremo e torneremo da dove siamo venuti, finché non avranno conquistato ogni centimetro di terra. A volte percepiamo il loro odio nei nostri confronti solo perché siamo ebrei. Li sentiamo sbottare ‘porci ebrei’ con disgusto e disprezzo. Alcuni di loro sono più estremisti, o forse solo più onesti, e dicono che la loro missione non finisce lì, tra il fiume e il mare”.
Questo dovrebbero ricordarlo anche certi europei: “Sognano di fondare un impero islamico che conquisterà il mondo intero. Nella loro mente, non solo Israele non esiste, ma non esistono nemmeno la Francia, la Gran Bretagna o la Svezia. Tutto il pianeta dovrebbe essere musulmano”. I primi giorni da ostaggio, Sharabi li ha trascorsi nel seminterrato della casa di una famiglia benestante di Gaza. “Il padre, che aveva lavorato nell’edilizia in Israele, parlava fluentemente inglese e persino un po’ di ebraico. La vita al piano di sopra era normale per la famiglia – pasti, compiti, preghiere – mentre io giacevo al piano di sotto, con le spalle straziate dalle corde strette che mi legavano. Gli assassini che hanno fatto irruzione in casa mia e hanno massacrato mia moglie e le mie figlie erano spinti da un odio cieco, che sembrava avere la precedenza su tutte le altre motivazioni, inclusa la vita stessa”. Sharabi racconta quello che la vulgata del genocidio non vuole sentire. “Vediamo pacchi di aiuti dell’Onu. Grandi casse bianche ricolme di cibo. I nostri sequestratori mangiano tutti contenti, lasciandoci qualche misera briciola di quel lauto banchetto”.
Mentre si cerca di finalizzare un accordo di pace a Gaza, Sharabi pensa agli israeliani ancora prigionieri di Hamas. “Ma è importante che il mondo sappia che una pace duratura può arrivare solo se l’ideologia omicida a cui abbiamo assistito in Hamas e in tutti coloro che sono associati a lui verrà sconfitta. Gli uomini armati che hanno fatto irruzione nella mia casa a Be’eri non cercavano solo di sbarcare il lunario. Erano barbari incivili, il cui odio per gli ebrei e Israele superava il loro amore per la vita stessa. Un vero cambiamento richiederà il rifiuto totale di una cultura che feticizza la morte e il risveglio del desiderio di abbracciare e celebrare la vita”. O almeno che l’amore per i propri figli sia più forte dell’odio per quelli di Israele al punto da non sacrificare più i primi pur di uccidere i secondi.