“From the river to the sea, Palestine will be free”. La foto choc di un consigliere di Parma e l’indignazione che non ci sarà
Che un consigliere comunale di area Pd, membro della direzione nazionale del Pd, Marco Boschini, consigliere a Parma, si faccia immortalare sorridente davanti a un murale con la scritta “From the river to the sea, Palestine will be free” non è una svista da social né una posa goliardica. È un gesto politico di gravità considerevole. Quel motto, letto alla lettera, indica l’intero spazio che va dal fiume Giordano al mar Mediterraneo: una fascia che comprende Cisgiordania, Gaza e lo Stato di Israele. Dire che “la Palestina sarà libera” su quell’intero perimetro significa, di fatto, non lasciare spazio alla sovranità israeliana. Non è una espressione neutra di solidarietà: è una rivendicazione che sul piano geografico e politico comporta la cancellazione di Israele come realtà statuale.
Il Pd non è estraneo a questi passaggi ambigui. Il precedente di Reggio Emilia, con la polemica sull’invito a Francesca Albanese — che ha rimproverato il sindaco di Reggio Emilia per aver parlato di ostaggi mentre le davano un riconoscimento pubblico a Teatro — è ancora nella memoria del partito e dell’opinione pubblica. Allora la reazione fu confusa, divisa; oggi la domanda è la stessa ma più urgente: che farà il Pd adesso? Sarà in silenzio, lo caccerà, lo sanzionerà, oppure farà finta di niente?
Manifestare per Gaza, chiedere corridoi umanitari, sostenere i civili sotto i bombardamenti sono azioni legittime in democrazia. Ma esibire e promuovere simboli e slogan che storicamente sono stati usati da organizzazioni che mirano alla dissoluzione di uno Stato legittimo è altra cosa. Non si tratta più di protesta o di dissenso politico: è linguaggio che spalanca la strada alla delegittimazione, all’esclusione e, in ultima istanza, alla violenza politica. Chi assume quelle parole come manifesto non chiede soltanto giustizia per i civili: dichiara l’intento — reale o simbolico — di eliminare lo Stato avversario.
Per un partito che si dichiara garante delle istituzioni e difensore della democrazia, la scelta è nitida. Il Pd deve distinguere con nettezza tra critica a scelte di politica estera israeliana e invito alla sua cancellazione. Non basta proclamare la solidarietà ai diritti umani; occorre prendere posizione contro chi, anche attraverso un post sui social, normalizza un linguaggio che nega il diritto all’esistenza di un popolo. Tollerare o minimizzare sarebbe un segnale devastante alla comunità ebraica, ma anche a quei milioni di cittadini che credono nella convivenza e nello Stato di diritto.
Il tema non è solo interno: è questione di reputazione internazionale. Un partito che non chiarisce la differenza tra dissenso e cancellazione perde autorevolezza nei fori europei e con i partner internazionali. La bandiera della pace non può diventare una foglia di fico dietro cui nascondere messaggi di esclusione.
La lezione è semplice: il linguaggio conta. Le parole non sono innocue; modellano percezioni, legittimano atti, costruiscono realtà politiche. Se il Pd non saprà reagire con chiarezza e decisione — se chi inneggia a slogan di cancellazione resterà impunito — il danno non sarà soltanto morale ma politico e storico. Il partito dovrà rispondere: chiuderà gli occhi, o misurerà il suo impegno democratico con atti concreti? La risposta definirà la credibilità del Pd molto più di un comunicato stampa di circostanza.
Dopo l’articolo del Foglio, Boschini si è scusato.