Tarcísio Freitas, il Bolsonaro light

Il governatore di San Paolo cerca di affermarsi come volto moderato della destra brasiliana, ma si radicalizza per conquistare la base bolsonarista. La sua candidatura è ostacolata dall’opposizione degli imprenditori e dei figli di Bolsonaro, mentre Lula rafforza il consenso dopo la condanna dell’ex presidente

Tarcísio Freitas era il bolsonarista dal volto umano. L’attuale governatore di San Paolo, 50 anni, ex ministro delle infrastrutture del governo Bolsonaro (2018-2022), ex capitano dell’esercito, una vita da gregario politico, è da tempo considerato il più probabile candidato della destra brasiliana alle presidenziali del prossimo anno. Ma per diventare il candidato dei Republicanos, bisogna persuadere la base bolsonarista incondizionata, circa il 35 per cento dell’elettorato, in mobilitazione permanente, organizzato tramite gruppi social e le chiese evangeliche mainstream, come Assembleia de Deus Vitória em Cristo del pastore Silas Malafaia.



E’ una consistente minoranza abituata alle prove di forza. L’ultima lo scorso 7 settembre, festa dell’indipendenza del Brasile, oltre 40mila persone hanno sfilato lungo la Avenida Paulista. Chiedevano di fermare quello che considerano un processo politico al loro “mito”, come chiamano Jair Bolsonaro, 70 anni, condannato lo scorso 11 settembre a 27 anni di carcere per tentativo di colpo di Stato, finalizzato ad impedire l’insediamento dell’attuale presidente, Lula. Le foto aeree del corteo a San Paolo mostrano una gigantesca bandiera statunitense, i manifestanti con cartelli in inglese chiedevano agli Stati Uniti di intervenire per fermare il processo. Richiesta accolta: da luglio, l’amministrazione statunitense ha imposto dazi del 50 per cento su una serie di prodotti brasiliani, – “per combattere la caccia alle streghe in atto nel vostro paese” ha scritto Trump in una lettera a Lula – e sanzionato i funzionari brasiliani, come il giudice Alexandre de Moraes – principale artefice del processo a Bolsonaro – a cui è stato sospeso il visto d’ingresso negli Stati Uniti.



Sulla Avenida Paulista, il placido Tarcísio, panciuto e viso butterato, dal tetto di un camion ha ruggito contro il Supremo Tribunale Federale, contro il “tiranno” de Moraes, e promesso di concedere amnistia contro un “crimine che non esiste”. La metamorfosi di Tarcísio non è piaciuta ai potenti imprenditori di San Paolo, metropoli più grande dell’America del Sud, stato più prospero e popoloso del Brasile. Il settore privato alza il sopracciglio alla radicalizzazione di Tarcísio, “così perde i voti dei moderati e del centrodestra” ha dichiarato a Folha de S.Paulo Fábio Barbosa, ex presidente della Federazione delle Banche del Brasile. Certo, mancano ancora 13 mesi alle elezioni, che potrebbero decidersi per un piccolo scarto, nel 2022 fu appena l’1,8 per cento, e i candidati dovranno stemperare il proprio messaggio in cerca del voto moderato. Ma esiste ancora quell’elettorato in Brasile? Nel 2022 fu una guerra santa tra chi votava Lula per la “difesa della democrazia”, e chi Bolsonaro “contro il ritorno dei corrotti comunisti”. Nel 2026 si potrebbe replicare lo stesso copione. La sentenza Bolsonaro rappresenta uno spartiacque della storia del paese, mai prima erano stati condannati alti gradi della gerarchia militare – oltre all’ex presidente proveniente dall’esercito, tre generali, un ammiraglio, un tenente colonnello – per tentativo di colpo di stato.



La sentenza ha ridato slancio alla sinistra brasiliana: lo scorso 21 settembre manifestazioni nelle 27 capitali degli stati contro l’amnistia ai golpisti e una norma scudo ai parlamentari verso ogni tipo di procedimento giudiziario. Nelle piazze sventolavano molte bandiere verdeoro, a lungo simbolo bolsonarista, “è stata una delle marce più grande degli ultimi anni, la sinistra si è ripresa le strade” nota la stampa brasiliana. A sinistra cambiano i simboli, migliora l’umore, quel che resta uguale è il candidato: Lula. Non ci sono alternative al tre volte presidente, che compie 80 anni a fine ottobre. Politicamente, al centrodestra del Centrão, potente intergruppo parlamentare che vota per chi offre di più, conviene un Bolsonaro martire più che uno amnistiato e libero di ricandidarsi. Per loro e per gli imprenditori paulisti, il bolsonarismo light dell’ingegnere civile Tarcísio – che un recente sondaggio Atlas Intel mostrava in vantaggio su Lula, in un ipotetico scontro diretto – era l’opzione più convincente. Ma avevano fatto i conti senza la turma bolsonarista, indispensabile per affrontare il consenso di Lula, in crescita dopo l’ingerenza statunitense con l’imposizione dei dazi. A complicare la strada verso la candidatura di Tarcísio ci sono i tre figli Bolsonaro, che hanno respinto “con veemenza” l’idea di una sua candidatura. Eduardo – che fa da contatto con la destra trumpiana – ha affermato che, nel caso papà non possa essere candidato, toccherà a lui. Tarcísio prova a diventare leone, ma dovrà guardarsi le spalle dalle iene.

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