L’attualità di Ruffilli. Come riformare il sistema italiano? Il grande politologo può insegnare ancora molto

Il senatore e consigliere di De Mita auspicava una razionalizzazione del sistema istituzionale perché era consapevole del “vero problema” che si trovava – e si trova – ad affrontare lo Stato rappresentativo: fare i conti con le complessità dell’intera società. Le sue analisi sono ancora utilissime

E’ fin troppo facile constatare come tutti i leader che si sono alternati al potere negli ultimi decenni abbiano cercato di incidere sul funzionamento istituzionale del nostro paese. Si tratta di una tentazione ricorrente, che ormai alimenta un dibattito molto vivace tra politici, intellettuali e società civile. Soprattutto dai primi anni Ottanta e fino alla sua tragica morte nel 1988, Roberto Ruffilli aveva preso parte a tale confronto definendo, innanzitutto, quali erano a suo vedere le questioni più urgenti da affrontare e, poi, nelle sedi istituzionali (in particolare come consigliere di Ciriaco De Mita, senatore e membro della Commissione Bozzi), contribuendo a proporre una modifica sostanziale dell’impianto istituzionale italiano.

Dopo il fallimento di una riforma organica, aveva comunque insistito nel promuovere almeno una modifica della legge elettorale, che avrebbe dovuto ridurre la frammentazione partitica e dare agli elettori la possibilità di valutare in modo adeguato i candidati e, al tempo stesso, di incidere direttamente sulla scelta della maggioranza di governo. Il cittadino – sosteneva – deve essere arbitro del conflitto tra partiti potendo esprimere sia il voto per il partito, sia il voto per il governo. Ciò a cui aspirava Ruffilli era una competizione tra coalizioni alternative, senza precludere in alcun modo la pluralità partitica e soprattutto senza intaccare le fondamenta della Costituzione repubblicana. Le sue analisi e le sue proposte sono utilissime ancora oggi, specie in un periodo nel quale si torna a parlare di modifica della legge elettorale, anche in vista di una probabile riforma istituzionale. E’ dunque meritorio lo sforzo di raccogliere gli interventi del senatore democristiano in un bel libro con note introduttive ai testi di Domenico Guzzo, e l’introduzione di Augusto Barbera, perché offre uno spaccato fondamentale del suo pensiero e del dibattito dell’epoca (Riflessioni e interventi sulle riforme istituzionali 1980-1988, il Mulino).

In un intervento del 1981, Ruffilli individuava nella crisi dei partiti e delle culture politiche la questioni di fondo: infatti, da un lato, era in crisi il “centralismo democratico” del Pci e il sistema delle “correnti” della Dc, dall’altro, le relative culture politiche (e non solo) faticavano a riconoscersi, quindi ad abbandonare una reciproca diffidenza, in parte figlia di profonde fratture createsi alla fine del secolo precedente. Per Ruffilli, occorreva dare all’Italia un “governo decidente” in presenza di un Parlamento “forte e trasparente”. Due obiettivi che dovevano camminare insieme, per evitare derive plebiscitarie. Richiamando la lezione di Maurice Duverger, il politologo di Forlì si soffermava in diverse occasioni sulla distinzione tra “democrazia mediata” e “democrazia immediata”. Alla base, c’era una constatazione cruciale, quella secondo cui occorreva accogliere alcune spinte verso l’immediatezza provenienti soprattutto dai cittadini e quindi adeguare la democrazia italiana “alla regola della maggioranza e alla regola dell’alternanza” considerate indispensabili per mettere in equilibrio l’assetto politico-istituzionale e per evitare i rischi di una mediazione fine a sé stessa e di una decisione senza controlli.

Per molti versi, siamo ancora alla ricerca di un così importante punto di equilibrio. Per raggiungerlo, come si accennava, occorre anche il protagonismo dei cittadini. Per Ruffilli, essi devono assumersi delle responsabilità chiare, senza tuttavia alimentare l’equivoco di una loro superiorità rispetto alla classe politica. Scriveva nel 1984 che “non è valido e realistico il mito che la società – quasi godendo di una sorta di purezza primigenia – sia migliore e più avanzata del sistema politico”. Un decennio dopo, però, questo mito è stato cavalcato da molti. In breve, Ruffilli auspicava una razionalizzazione del sistema istituzionale perché era consapevole del “vero problema” che si trovava – e si trova – ad affrontare lo Stato rappresentativo, ossia quello di fare i conti con le complessità dell’intera società. Se non si parte da tale constatazione, ci troveremo a dover prendere atto – come aveva già fatto Ruffilli ai suoi tempi – che stiamo vivendo una stagione in cui il vecchio muore mentre il nuovo fatica a nascere.

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