Le riprese del “Diavolo veste Prada 2” avrebbero dovuto includere la mostra celebrativa del grande stilita italiano e la grande sfilata per il cinquantesimo anniversario della maison. I piani sono stati dolorosamente cambiati
Dicono voci incontrollate alla Pinacoteca di Brera che nel momento in cui la produzione del ”Diavolo veste Prada 2” ha chiesto di “mettere qualche drappo” sulla statua di Napoleone Bonaparte in veste di Marte Pacificatore nel cortile d’onore, capolavoro di Antonio Canova fuso dai Righetti nei cannoni di Castel sant’Angelo nel primo decennio dell’Ottocento, insomma di coprirgli le vergogne come il Braghettone della Cappella Sistina tre secoli prima, il sovrintendente Angelo Crespi abbia sorriso vago, certo di non aver ben compreso. Invece, la richiesta era giunta chiarissima, ancorché fosse del tutto irricevibile. Negli Usa dove si compra un fucile al drugstore e i serial storici sono un trionfo di manipolazione a fini politico-sociali, mostrare pubblicamente la foglia di fico è però del tutto “inappropriate” e dunque, dopo aver verificato che quella bella statua di bronzo di un uomo nudo portava già in effetti un mantello sul braccio sinistro (no, non il pallio. Era definito “paludamentum” ed era riservato agli imperatori), la produzione all-Usa ha chiesto se non fosse possibile replicare sull’altro braccio e magari anche lì, nel mezzo.
You say potato, I say potato, non ci capiremo mai, Cole Porter l’aveva intuito prima di tutti. E’ andata a finire come doveva, cioè con un no, ma non si può certo dire che il grande palazzo voluto dai gesuiti e poi ampliato e arricchito da Maria Teresa d’Austria e oggi il polo della Grande Brera con i suoi record di visite, circa 1,1 milioni includendo anche il Cenacolo, in questi mesi non sia stata fonte di grattacapi per il team di 20th Century. Le riprese avrebbero dovuto infatti includere la mostra celebrativa di Giorgio Armani e la grande sfilata per il cinquantesimo anniversario della maison, il 28 settembre. Nella sceneggiatura originale, Meryl Streep avrebbe dovuto incontrare il fondatore: sarebbe stato un cameo perfetto per celebrare una data così importante per il piccolo impero di via Borgonuovo e un secondo atto di amore nei confronti della moda italiana dopo che, nel primo film di quella che è ormai una serie, datato 2006 e girato a Parigi, vi compariva Valentino. I piani sono stati dolorosamente cambiati il 4 settembre scorso, sebbene paia che la sfilata entrerà ancora a far parte del film.
Questo week end, nel frattempo, inizierà l’allestimento della grande mostra dedicata al grande imprenditore e designer appena scomparso, in apertura al pubblico dal 24 settembre: centoventi i capi esposti, in realtà davvero il minimo per una storia così importante, nessun impatto sull’allestimento permanente, nessuna ricerca visibile di “richiami” o “collegamenti”, sapete quell’attività di pura invenzione per la quale la scorsa stagione la gente si è trovata sui tavoli del Louvre gli stivali di Loubutin senza sapere perché. Pedane semplici, giusto una minima attenzione cromatica e di forme, un senso al tutto dato dall’atmosfera del luogo e dalla comunanza di sentire fra le due istituzioni. Armani stesso aveva voluto così, dopo aver fatto personalmente un sopralluogo qualche mese fa, attraversando in pratica il giardino che collega il suo palazzo al polo museale ed essersi un po’ doluto perché non sono stati ancora completati i lavori di restauro del bel muro perimetrale, da lui stesso sostenuti. Percorrendo le sale, aveva detto che mai avrebbe voluto confrontarsi con maestri come Bellini o Mantegna: questa ennesima prova di grandezza e umiltà era molto piaciuta. La mostra sarà coprodotta. In quelle sale, non ve ne sarà mai più un’altra.