Accusato di farsi blandire dell’opposizione, fa chiudere i lavori dopo il voto sulla riforma della giustizia, ma il capogruppo Lega sbotta perché non coinvolto nella decisione
Roma. C’è qualcuno che vuole mandarlo in Veneto e non solo. “Accordi, con chi?”. C’è un tema nella maggioranza, almeno a detta della maggioranza, e si chiama Lorenzo Fontana, il presidente della Camera, leghista. Ha infastidito la sua Lega, il capogruppo, Riccardo Molinari, il ministro Giancarlo Giorgetti, costringerà i leghisti a precipitarsi a Roma, lunedì, dopo Pontida. E’ sotto osservazione per la gestione del voto sulla separazione delle carriere, è processato, da un pezzo di FdI e un pezzo della Lega, per simpatia con l’opposizione: “Si lascia blandire”. Si vota la riforma della giustizia e in Aula si smanaccia. Il vicepresidente Sergio Costa, del M5s, interrompe e dice: “Da accordi con i gruppi, sospendiamo”. In Aula, e lo ascoltano tutti, il capogruppo della Lega, Riccardo Molinari, risponde: “Accordi, con chi?”. E’ il suo collega di partito, il presidente Fontana, a decidere di chiudere i lavori, solo che la maggioranza è all’oscuro.
I passaggi: voto, riforma della giustizia approvata, seduta chiusa per volere del presidente Fontana. Ma la decisione di chiudere è stata condivisa con FdI, Lega, FI? E’ stata comunicata ai capigruppo di maggioranza? No. Di certo non da Fontana, “personalmente”. Al suo posto telefonano gli uffici, scusandosi. Per la maggioranza è uno “sgarbo”. La sospensione ha ripercussioni sui lavori. Giorgetti, presente in Aula, in partenza per l’Ecofin, anche lui, si infastidisce perché c’è una necessità: subito dopo il voto sulla separazione delle carriere è previsto l’inizio della discussione generale sulla rendicontazione. La discussione salta. E salta anche l’agenda dei deputati, gli aerei. Della gestione di Fontana sul caso Almasri, ritenuta fragile da FdI, aveva già scritto il Foglio. Pensavano in FdI: “La prossima volta sarà più accorto”. Nella lingua di governo, significa: “Sarà più attento alle nostre richieste”. Solo che Fontana si è così calato nella parte di presidente di tutti che, dicono gli esponenti della maggioranza indispettiti, avrebbe dimenticato chi lo ha eletto. Avrebbe commesso un altro errore. Precedente. La maggioranza gli spiega che serve la seduta fiume per portare a casa la riforma della giustizia ma Fontana si oppone. Lo fa per nobili ragioni, per carità. Non vuole esacerbare gli animi della sinistra. La sua maggioranza gli spiega, ancora, che senza la seduta fiume aumentano i rischi. Fontana ci prova fino alla fine. Esce sconfitto. Accetta la seduta fiume anche perché la separazione delle carriere non si vota con la fiducia (non c’è la chiamata) ma con il voto istantaneo. Il paradosso? La maggioranza loda in queste ore la gestione del vicepresidente Costa, del M5s, che “ha governato l’Aula in maniera strepitosa. Era velocissimo, toglieva la parola. Bravo”. E sapete perché? Sempre la maggioranza: “Perché Costa è avvelenato con il M5s, con il Pd, che non lo ha candidato in Campania e gli ha preferito Fico”. L’idea di proporre Lorenzo Fontana in Veneto non è una fantasia. E’ solo difficile, ma non impossibile, da realizzare. Va bene tutto, va bene che siamo entrati nel terzo anno Meloni e che forse ne avremo altri sette, ma c’è ancora il Quirinale. Ha dichiarato il senatore di FdI Luca De Carlo, uno che per consensi, e umanità, ha diritto di rivendicare il Veneto, che “Lorenzo Fontana è un candidato autorevole per il Veneto”. Ma il Quirinale accetterebbe?”. L’eventuale uscita di Fontana sanerebbe una ferita iniziale nella Lega (era Molinari il favorito per la presidenza della Camera). Fontana è noto per la sua passione: la teologia. E’ salito così in alto, in cielo, da dimenticare che siamo tutti umili lavoratori nella vigna di Meloni.
Carmelo Caruso