La ricetta è tanto semplice quanto difficile: più crescita e più riforme. La politica fiscale sarà decisiva: riduzione delle imposte sul reddito a condizione che lo sforzo non venga reso vano da una parallela politica dei bonus
[Aggiornamento 20/09/2025 ore 10] Fitch ha alzato il rating dell’Italia a “BBB+” con outlook stabile, riconoscendo una maggiore fiducia nella traiettoria fiscale del Paese. Il deficit, stimato al 3,1 per cento del pil per il 2025, è in calo grazie a entrate solide e controllo della spesa, mentre il debito è sceso di oltre 20 punti percentuali dal 2020 ai livelli pre-pandemia. L’agenzia sottolinea la stabilità politica, il proseguimento delle riforme e la resilienza del sistema bancario come fattori che rafforzano la credibilità italiana, nonostante sfide legate a debito e crescita. Soddisfatti Giorgetti e Meloni: “Abbiamo riportato l’Italia sulla giusta strada”, “Non slogan ma risultati concreti”. L’upgrade conferma un trend positivo già avviato da altre agenzie e sostiene la domanda dei BTp sui mercati internazionali.
Ieri è arrivata la pagella di Fitch, poi via via tutte le altre quattro agenzie di rating fino a Moody’s il 21 novembre. Le valutazioni sul debito italiano questa volta tengono con il fiato sospeso perché ci si aspetta non una bocciatura, ma al contrario una promozione generale. Se sarà così come gli analisti prevedono, tutti dovremmo applaudire senza se e senza ma. Anche l’opposizione, perché se lo meritano gli italiani che hanno lavorato e pagato le tasse e perché un buon risultato della politica di bilancio fa bene al paese non solo a Giancarlo Giorgetti che ha tenuto la testa a posto e a Giorgia Meloni che lo ha sostenuto contro gli assalti alla diligenza (quasi tutti). Dopo aver celebrato, è il momento di rimboccarsi le maniche, perché l’obiettivo è tornare in serie A.
La ricetta è tanto semplice quanto difficile, ma non impossibile da seguire: più crescita e più riforme. Secondo tutte le agenzie siamo ancora in serie B, anche se con prospettive migliori. Fitch finora ci aveva affibbiato tre B con outlook positivo, Standard & Poor’s BBB+ stabile, Morningstar DBRS un BBBH positivo, Scope BBB+ stabile e Moody’s Baaa3 positivo a partire dallo scorso maggio. Tanto per tenere i piedi ben piantati a terra, dopo B, in tutte le varianti, c’è un debito “spazzatura”. E il debito italiano resta ancora molto elevato (a luglio tremila e 56 miliardi pari al 135% del prodotto lordo), la crescita dovrebbe chiudere l’anno con uno 0,6% in più rispetto all’1,2% sperato in precedenza, a migliorare è il disavanzo previsto al 3,3%, meno della media europea e in linea con il patto di stabilità. E’ questo che sposta verso il segno più la bilancia del rating, tuttavia per ridurre in modo consistente il debito ci vuole meno deficit, ma anche più crescita del pil. Ed è proprio qui che bisogna puntare con la politica economica del prossimo anno.
Fitch e le altre agenzie hanno già tenuto conto di fattori politici, a cominciare dalla stabilità del governo, al di là delle fibrillazioni interne alla maggioranza. Una situazione che non dovrebbe cambiare nei prossimi mesi e probabilmente nemmeno nel 2026. E’ sempre pericoloso per la finanza pubblica il “semestre bianco” che precede le elezioni, quindi è necessario che la prossima legge di bilancio sia rigorosa e preveda uno sforzo ulteriore. Decisiva è la politica fiscale: la riduzione delle imposte sul reddito promessa dal governo può dare una spinta dal lato della domanda interna con la quale compensare il costo, se non proprio ripagarlo del tutto. Ma a condizione che lo sforzo non venga reso vano da una parallela politica dei bonus, dei sostegni a pioggia, delle sanatorie. Dunque, nel braccio di ferro in corso, deve vincere il viceministro Maurizio Leo non la Lega e nemmeno tutte le corporazioni che si aspettano scappatoie. La spesa non va tenuta solo sotto controllo, ma riqualificata a favore degli investimenti. E’ una delle condizioni fondamentali per dare una “spinta gentile” alla crescita. Poi, però, serve la spinta energica.
La Confindustria batte da tempo sugli incentivi, quelli che hanno funzionato come Industria 4.0, mentre nei prossimi mesi si capirà quanto costeranno alle imprese esportatrici le tariffe americane. La produzione industriale l’anno scorso è diminuita del 3,5% rispetto al 2023. La rotta non è stata ancora invertita, anche se a luglio l’indice è cresciuto dello 0,4% rispetto a giugno e l’intero trimestre mostra un leggero aumento (+0,2%). Ci sono miglioramenti sia nei beni di consumo sia in quelli strumentali. Incrociamo le dita, ma non si può lasciare alla manifattura che esporta tutto l’onere di far muovere l’intero convoglio italiano. Nel secondo trimestre il prodotto lordo è sceso leggermente (– 0,1%) a causa soprattutto del calo dell’export in particolare verso Usa, Regno Unito, Cina, Russia e Turchia. E’ chiaro che l’Italia deve compiere un salto nei servizi e nella pubblica amministrazione.
E qui si apre il capitolo delle riforme. Pochi ricordano che i 200 e rotti miliardi di euro giunti da Bruxelles tra prestiti ed erogazioni a fondo perduto, sono condizionati al successo di alcune riforme in grado di aumentare la produttività del sistema Italia. Quella fiscale non è stata ancora realizzata. Non ci sono previsioni sull’impatto in termini di efficienza della riforma nell’amministrazione giudiziaria, a cominciare dalla separazione delle carriere. Nella scuola non è probabile che il latino alle medie aumenti la scolarizzazione (l’Italia è nella parte bassa della graduatoria Ocse). Il gap digitale resta molto ampio. La trafila amministrativa è ancora opprimente (basti l’esempio della carta d’identità elettronica), non parliamo di quando si vuole far partire un’impresa. Il mercato dei capitali è asfittico, la borsa era pari al 100% del pil nel 2000, oggi è al 36%. La geremiade può continuare, ma è noiosa e deprimente. Fitch e le sue sorelle guardano non solo ai conti pubblici, ma anche al pil e alle riforme, è questo il trilemma da risolvere per salire in serie A.