Nordio: “A marzo il referendum sulla giustizia”. Ma i sondaggi preoccupano il governo

Il ministro dopo il sì della Camera: “A ottobre l’ultimo passaggio in Senato”. Il centrodestra vuole fare la prima mossa per mobilitare gli italiani e frenare i comitati del no. Anm in testa

Roma. “Ottobre e marzo”. Dopo il penultimo sì del Parlamento alla riforma della giustizia – con tanto di bagarre in Aula fra maggioranza e opposizione – Carlo Nordio con un discreto senso dell’umorismo si fa largo fra i cronisti: “Per la cronaca di chi ritiene che sia dedito all’alcolismo, vado a festeggiare questa bellissima giornata con uno spritz”. Al bancone della buvette di Montecitorio, che è il suo Café Procope, il ministro della Giustizia indica appunto ottobre come mese per l’ultimo sì alla riforma in Senato, prima che la manovra dalle commissioni approdi in Aula, e marzo come possibile periodo per il referendum confermativo. Sempre Nordio fa capire, mentre sorseggia il suo aperitivo con il viceministro Paolo Sisto e la capo di gabinetto Giusi Bartolozzi, che sarà il governo a cavalcare la battaglia referendaria. E non a subirla. Tuttavia la faccenda non è semplice, come sembra.


La scelta di caricare politicamente questo appuntamento è anche figlia dei sondaggi. L’umore degli italiani secondo i dati in possesso di Palazzo Chigi e del ministero della Giustizia sembrano essere mutati. Non sono percentuali scritte sulla pietra, ma piccoli campanelli d’allarme sì. Da Via Arenula raccontano infatti che “all’inizio dell’iter parlamentare avevamo registrato uno schiacciante 70 per cento di favorevoli. Adesso, complice anche il caso Almasri, le rilevazioni ci dicono cose diverse: i sì e i no quasi si equivalgono. Aspettiamo nuovi dati in settimana”. Occorre ripeterlo: sono sondaggi, scritti, questi sì, sulla sabbia. Ma non vanno presi sotto gamba. Ecco perché la maggioranza ha intenzione di “chiamare” il referendum, senza aspettare che lo facciano i comitati per il no, spinti dall’Anm, o le opposizioni. La consultazione popolare sarà obbligatoria: la differenza politica starà in chi farà la prima mossa. Si valutano le tre forme previste dalla costituzione: raccolta di 500 mila firme (che potrebbe arrivare anche in maniera digitale tramite Spid, per la prima volta), coinvolgimento di cinque consigli regionali o di un quinto dei deputati o senatori. Per il raffreddamento dei tempi da una camera all’altra per una riforma costituzionale dal 22 ottobre può arrivare il sì a Palazzo Madama, quello della svolta. Quello di ieri resta il giorno della baruffa tra maggioranza e opposizione, con i commessi nell’emiciclo per bloccare manate e spintoni, le invocazioni a Silvio Berlusconi da parte di tutta Forza Italia a partire dall’onorevole Marta Fascina, ultima compagna del Cav. Il Pd accusa Antonio Tajani di aver applaudito al momento del voto dai banchi del governo (cosa che non risulta dal Var) e di non rispondere su Gaza. “Da regolamento si può applaudire, ma non l’ho fatto e comunque l’opposizione, come si dice a Roma, nun ce vole sta’”. Dalle opposizioni si registrano però anche le voci favorevoli di Luigi Marattin (Partito liberaldemocratico) e Carlo Calenda (Azione). Ma questi sono dettagli perché ormai Palazzo Chigi, con Giorgia Meloni in testa, è in piena modalità campagna referendaria. Un’operazione che ha costi non banali, basti pensare che l’Anm ha stanziato in bilancio mezzo milione di euro. E dunque serviranno euro e mobilitazione da parte del centrodestra. L’idea è quella di arrivare a fine marzo (quindi niente Idi) 2026 per l’ordalia popolare. Sì o no. Una campagna elettorale si staglia all’orizzonte dopo quella delle regionali che alla fine terminerà qualche giorno prima di dicembre. Meloni è convinta di superare il test e che se dovesse andar male non inciderà sulla salute del suo governo. Ma questo si sa è un altro discorso con precedenti controversi.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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