Dai capigruppo Molinari e Romeo ad Andrea Crippa: i luogotenenti si schierano contro il pacchetto di provvedimenti annunciato dalla Commissione europea nei confronti dello stato ebraico
In Fratelli d’Italia, in Forza Italia e dentro al governo, le bocche sono cucite. A parlare, non senza un certo imbarazzo, è solo il presidente del Senato Ignazio La Russa: “Io approvo le sanzioni, ma nello stesso tempo non considero corretto dimenticare tutte le volte che questa drammatica, drammaticissima vicenda parte da una aggressione, quella avvenuta il 7 ottobre del 2023 da parte di Hamas”, dice sottolineando come sia importante: “mettere in relazione a quello che sta accadendo con quello che Israele ha subito”. In mattinata la Commissione europea ha presentato il possibile pacchetto di sanzioni che la Ue si prepara a destinare a Israele dopo l’ingresso a Gaza: dalle sanzioni personali verso i ministri più estremisti del governo israeliano fino al blocco parziale dell’accordo commerciale che lega la Ue a Israele. Su diversi punti però sarà la posizione degli stati membri a stabilire se davvero queste sanzioni saranno applicate. Per l’Italia, che con la Germania ha sempre mantenuto un atteggiamento equilibrato e prudente, la questione è quantomai spinosa. Ma se La Russa ieri faceva questa timida apertura, la Lega ha già detto il suo no. Spiega Riccardo Molinari che del Carroccio è il capogruppo a Montecitorio: “Il conflitto a Gaza potrebbe terminare se Hamas liberasse gli ostaggi invece di usarli come scudi umani e se abbandonasse la Striscia. Noi vediamo la brutalità e la violenza di un’operazione in cui tanti civili hanno perso la vita ma la strada giusta non è sanzionare Israele che è un paese che fa parte di un blocco di paesi democratici e liberali di cui facciamo parte anche noi”. La sua posizione, né più nel meno è anche quella dell’altro capogruppo, il presidente del Carroccio a Palazzo Madama Massimiliano Romeo: “Sanzioni a Israele? Se vogliamo arrivare a una soluzione dobbiamo evitare di alzare i toni. Non so se le sanzioni aiuterebbero questo percorso”.
Tace invece per adesso il segretario e vicepremier leghista Matteo Salvini che pure ieri – nonostante il comizio ad Ancona per la campagna elettorale nelle Marche – pungolava la sua maggioranza su altre cose: dai soldi per il piano di riarmo europeo, che non vuole spendere, alla tassa sugli utili delle banche sulla quale il Carroccio continua a insistere fino alle polemiche con Forza Italia sul nuovo San Siro a Milano. E d’altronde il leader leghista, che a metà luglio è stato insignito del premio Italia-Israele 2025, fa del sostegno totale allo stato ebraico una delle convinzioni imprescindibili della politica estera del partito. Ultimo leader europeo a volare a Gerusalemme, era lo scorso febbraio, per far visita Benjamin Netanyahu, quando il premier israeliano era già finito nel mirino della Corte penale internazionale. Un messaggio chiaro. Due giorni fa alla Camera, il responsabile Esteri del suo partito, il deputato Paolo Formentini, ha incontrato il diplomatico israeliano Jonathan Peled.
Ma d’altronde nessuno dentro al governo vuole passare come nemico di Israele (e non solo perché lo stato ebraico conta ancora sull’appoggio più o meno tacito del presidente americano Donald Trump). Non è un caso insomma che anche la posizione del presidente La Russa fosse ieri così sfumata. A parte lui nessun altro osava esporsi, ad eccezione dei leghisti, ovviamente, che premono per far valere la loro posizione all’interno della maggioranza. Spiega Andrea Crippa, ex vicesegretario e deputato della Lega: “La nostra posizione resta questa: le sanzioni sono uno strumento che non ha mai funzionato. Non è avvenuto con la Russia e non avverrebbe con Israele, fanno solo danni alla nostra economia. Per adesso – aggiunge – non voglio dire altro perché la nostra intenzione è fare valere questo punto di vista nel dibattito che è in corso dentro al governo”.