Dopo la notizia dei licenziamenti, è partita una mobilitazione dei lavoratori che ha coinvolto le istituzioni locali ed è arrivata in Parlamento. Il disastro affonda le radici nella politica gestionale del colosso svizzero Richemont
Siamo già alla crisi dell’e-commerce, quantomeno di quello italiano? I commenti che si sono intrecciati sulla stampa a proposito dei 211 licenziamenti di Yoox, il portale della moda di lusso lo lascerebbero pensare. Ma si tratta di un’ipotesi decisamente arrischiata perché il commercio online nel Belpaese è cresciuto nel 2025 del 6 per cento annuo. Il disastro di Yoox affonda invece le radici nella politica gestionale del colosso svizzero Richemont, che ha inanellato un errore dopo l’altro e ha generato l’attuale situazione, anche se non è più l’azionista di controllo. Ma prima di svelare del tutto le mosse del colpevole vanno registrati gli avvenimenti.
Giovedì scorso il caso è approdato in Parlamento e il ministro Adolfo Urso ha promesso di non fare sconti alle multinazionali. A rendere più cruda la soluzione della vertenza c’è, infatti, da registrare che l’azienda non prevede né il ricorso alla cassa integrazione né incentivi all’esodo. Un botta secca e via. Ma come si sa Bologna non è certo piazza abituata, almeno finora, a inghiottire senza colpo ferire procedure così drastiche ed è partita una mobilitazione dei lavoratori che ha coinvolto le istituzioni locali e, come detto, è arrivata in Parlamento. E’ chiaro che il mercato del lusso risulta in flessione e che quindi i risultati congiunturali di Yoox risentono del contesto economico ma anche in questo caso generalizzare non aiuta a capire.
Il nome Yoox risponde al passato, quello attuale è Yoox Net-a-porter (Ynap), il proprietario è il gruppo LuxExperience, a sua volta nuova denominazione dei tedeschi di MyTheresa. L’azienda denuncia una perdita di 191 milioni di ricavi nell’ultimo esercizio chiuso con 357 milioni di rosso, dopo un precedente di 1,8 miliardi sempre di rosso riferiti al bilancio chiuso a marzo 2024. Secondo LuxExperience bisogna al più presto “adeguare i costi di struttura con quelli del personale” e di conseguenza il gruppo ha redatto una lunga nota nella quale unità per unità elenca e individua gli esuberi. Occorre semplificare i processi e ridimensionare le operations. In origine il portale era un luogo di eccellenza – fu definito il primo unicorno italiano – e a svilupparlo è stato l’imprenditore ravennate Federico Marchetti, che con caparbietà ha messo su un gruppo indipendente che era profittevole e chiudeva bilanci in nero a doppia cifra.
Con l’Opa del 2018 Ynap è passato sotto l’insegna del colosso Richemont, che manifestò l’intenzione di costruire addirittura il leader mondiale delle vendite online di lusso. I capitali non mancavano. Secondo gli addetti ai lavori il primo errore fu quello di integrare Ynap dentro Richemont invece di farla correre da sola. Il know how del portale italiano di fatto è stato usato per digitalizzare Richemont più che guardare all’esterno. Il secondo errore è arrivato in tempo di Covid: mentre tutto l’e-commerce cresceva a tassi folli, Ynap ha subito un’incredibile frenata. L’unica attenuante è che il business delle vendite di moda luxury via digitale non è facilissimo, bisogna saper estrarre margini che a loro volta sono sottili ed è facile sbagliare. Risultato: Richemont capisce di aver preso un abbaglio, di aver sbagliato mestiere e decide di uscire dal business: mette in vendita Ynap individuando come compratore il gruppo britannico-portoghese Farfetch, diretto concorrente. Due settimane prima del perfezionamento del deal Fairfetch però fallisce clamorosamente e Richemont deve fare marcia indietro. Ricomincia il negoziato per dismettere Ynap e si fa avanti il gruppo tedesco MyTheresa – che poi cambierà il nome in LuxExperience – che per comprare il portale si fa però dare dagli svizzeri una dote di ben 500 milioni più l’utilizzo delle linee di credito aperte. Il guaio è che MyTheresa è un terzo di Ynap ed è come se un pesce piccolo ne mangiasse uno molto più grande. Digestione impossibile. Da qui i licenziamenti-antipasto e una vertenza che si preannuncia durissima. Anche le multinazionali sbagliano.