Il giudizio dell’ex premier su quanto poco è stato fatto da Commissione e stati membri è severo: “Dobbiamo andare oltre le strategie generali e le tempistiche dilazionate. Servono date concrete e risultati misurabili, e dobbiamo essere chiamati a risponderne”
Mario Draghi ieri ha lanciato la sua più dura critica all’inazione dei leader dell’Unione europea, presentando una visione dell’Europa molto diversa da Ursula von der Leyen per affrontare i grandi stravolgimenti geopolitici ed economici. L’occasione era una conferenza organizzata dalla Commissione per celebrare il primo anno della pubblicazione del suo Rapporto. La presidente von der Leyen ha illustrato le iniziative lanciate, le road map presentate, le strategie abbozzate, traendo ispirazione dalle raccomandazioni dell’ex presidente della Bce. “A un anno di distanza, l’Europa si trova in una posizione più difficile. Il nostro modello di crescita sta svanendo. Le vulnerabilità stanno aumentando. E non esiste un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno”, ha risposto Draghi. Come dimostrano l’accordo svantaggio sui dazi con Donald Trump e la mancanza di influenza sulla Cina per i suoi aiuti alla Russia, “l’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma la nostra stessa sovranità”. Per Draghi, le “scuse per la nostra lentezza” sono “una forma di autocompiacimento”. Serve “un percorso diverso” che “richiede nuova velocità, scala e intensità”. E servono “risultati in mesi, non in anni”.
Il discorso di Draghi è stato un lungo elenco di “la Commissione ha presentato…, ma…”. Sull’intelligenza artificiale “l’Europa mostra progressi. Ma i divari sono netti” (e Draghi ha chiesto una pausa nella regolamentazione). Sul 28esimo regime per le imprese “la Commissione si sta muovendo (…) ma, con un sostegno incerto da parte degli stati membri, il primo passo sarà probabilmente limitato”. L’aumento delle risorse per Horizon Europe a 175 miliardi di euro “è positivo, ma per la ricerca dirompente sarà insufficiente”. E così via. Gdpr, Clean industrial deal, Piano d’azione per l’energia accessibile, Pacchetto reti, requisiti di rendicontazione legati al Green deal, auto a zero emissioni nel 2035: azioni insufficienti o sbagliate. Draghi ha ribadito la richiesta di una politica industriale europea con un nuovo approccio al coordinamento degli aiuti di stato, una preferenza europea negli appalti pubblici e una riforma delle regole sulle fusioni.
Il giudizio di Draghi su quanto poco è stato fatto da Commissione e Stati membri è severo. “Dobbiamo andare oltre le strategie generali e le tempistiche dilazionate. Servono date concrete e risultati misurabili, e dobbiamo essere chiamati a risponderne”, ha avvertito. “Come aumentare la velocità?”. Secondo Draghi, “in alcuni ambiti cruciali, l’Europa deve iniziare ad agire meno come una confederazione e più come una federazione”. In attesa, “i progressi potrebbero dipendere da coalizioni di Stati volenterosi”. Il debito comune europeo – che von der Leyen continua a rifiutare – è il “passo logico successivo”. Le stime sugli investimenti annuali necessari dopo i nuovi impegni per la difesa sono salite a “quasi 1.200 miliardi di euro rispetto agli 800 miliardi stimati un anno fa. La quota pubblica è quasi raddoppiata, dal 24 al 43 per cento, con oltre 510 miliardi l’anno in più”, ha detto Draghi.
L’ennesimo appello sarà ascoltato? Alcuni governi aderiscono alla sua agenda. Con Trump “la nave europea deve cambiare direzione”, spiega al Foglio un diplomatico: “Il Rapporto Draghi viene implementato lentamente, il ritmo è lento”. Von der Leyen ha riconosciuto che la sua non è ancora “missione compiuta”, ma il suo discorso è business as usual: l’unico annuncio sulle raccomandazioni di Draghi è un’anticipazione della revisione delle regole sulle fusioni. Lei e la Germania frenano. “Per la sopravvivenza dell’Europa, dobbiamo fare ciò che non è mai stato fatto prima e rifiutarci di essere frenati da limiti autoimposti”, ha detto Draghi.