“Il modo migliore di evitare la guerra è essere pronti”. Lo stato dell’arte della difesa europea secondo Cingolani

In una lectio magistralis l’amministratore delegato di Leonardo traccia un ritratto della capacità militare italiana ed europea: “L’Europa investe più della Cina ma ha un’efficacia estremamente più bassa”. Per recuperare il gap “il rapporto pubblico-privato è l’unica soluzione”

“Il tempo ha un costo e questo costo cresce in modo proporzionale rispetto a quanto se ne perde”. È l’avvertimento che l’ad di Leonardo Roberto Cingolani ha dato ieri alla Camera dei deputati in occasione della lectio magistralis per la cerimonia di apertura del decimo corso-concorso di formazione dirigenziale della Scuola nazionale dell’amministrazione (Sna). L’ex ministro per la Transizione ecologica ha iniziato il suo discorso facendo riferimento al difficile contesto globale: “Nel 2025 siamo in presenza di un cambio storico e di una serie di coincidenze geopolitiche che hanno messo in discussione molte delle convinzioni che avevamo. Dazi, protezionismo economico, tariffe, sistemi regolatori, mercato globale completamente stravolto, da un lato l’Antitrust che blocca anche le cose più urgenti, pur tuttavia con ottime motivazioni, e dall’altra la pressione dei mercati che sono in guerra”.

Difesa

Il discorso di Cingolani arriva subito al capitolo della difesa. In un mondo sempre più interconnesso ogni avvenimento ha delle ripercussioni di ampia portata. La globalizzazione porta un incredibile elemento di fragilità: “Se scoppia una guerra periferica, il giorno dopo esplode la crisi dell’insicurezza energetica, poi quella alimentare, quella cibernetica e infine quella infrastrutturale. Le nostre forze armate si sono trovate uno tsunami di tecnologie nuove”. In Europa “siamo stati tranquilli per ottant’anni pensando che la pace fosse un po’ scontata. Poi però un sapiens questa volta da est, un’ altra volta da ovest, una volta da sud, sovverte gli equilibri e ci rendiamo conto che difendere la pace ha un costo”. Dalla guerra in corso in Ucraina, ci sono alcune lezioni da imparare, la prima fra tutte è che “difendere costa dieci volte in più che attaccare. A fronte di cento milioni d’ investimento per l’attacco si spende un miliardo per la difesa perché il drone da 12mila euro che attacca è difficilissimo da vedere e spesso viene neutralizzato da un’ arma che costa 500mila o un milione di euro. C’è anche un problema di sostenibilità della difesa”. Inoltre la combinazione di tecnologie ha permesso di passare “dai proiettili a computer e dati, con cyber security e droni telecomandati”. L’ultima lezione è che “nessun paese ce la fa da solo, se guardiamo i dati macro economici questa versione si traduce in una fotografia impietosa dell’ Europa: in difesa investe più della Cina, se facciamo l’integrale, ma ha un’efficacia estremamente più bassa perché il vecchio continente divide quest’ investimento su ventisette. Questa frammentazione vuol dire ogni paese vuole la sua sovranità nazionale e la sua tecnologia nazionale”. Il risultato è “un po’ impietoso”, prosegue Cingolani, “gli Stati Uniti investono 250 miliardi circa su una dozzina di piattaforme, invece l’Europa investe circa la metà su trenta piattaforme.

Spese Nato

L’ad di Leonardo parla poi della richiesta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di aumentare le spese per la difesa della Nato fino al 5 per cento del pil nazionale: “In quell’incremento c’è l’adeguamento delle infrastrutture digitali, il super calcolo, l’intelligenza artificiale, gli investimenti sullo spazio che diventano essenziali per avere una sicurezza globale garantita”. Cingolani spiega che quando si difende un territorio non bisogna proteggere solo la terraferma, ma anche l’acqua e il cielo per quanto si estende la stratosfera. Fino a poco tempo fa “l’aereo parlava con l’aereo, il carro armato con il carro armato e così via. Oggi ci si muove verso la tecnologia radicalmente diversa che è quella dell’interoperabilità quindi tutto ciò che si trova per terra, in aria, in acqua, nello spazio deve essere interoperabile: deve cioè poter espletare in tempo reale le funzioni di tutti gli altri sistemi. Vuol dire che se c’è una minaccia che viene da qualche parte e che viaggia a 12mila km/h ci mette 180 secondi per arrivare dalla capitale della Russia a Roma e fare un danno. Noi abbiamo tre minuti per reagire e neutralizzarla”.

Se tutto va bene e non si perde nemmeno un secondo, il presidente Usa impiega quattro minuti a dare l’ok per lanciare un contrattacco, continua Cingolani. “Se però tre minuti è il tempo in cui ci attaccano, quattro troppo tardi. In un sistema di questo genere bisogna essere talmente rapidi che abbiamo bisogno di tutti i nostri mezzi di difesa, che devono essere supervisionati da un sistema satellitare adeguato che è la nostra sentinella sul Colle, come succedeva nel Medioevo, che vede l’ istante iniziale della minaccia quando parte. Per esempio con un detector infrarosso che vede l’ esplosione di un missile che parte una rete di satelliti che triangolo la traiettoria e che lo fa in poche decine di secondi, in modo da passare questa informazione a terra”. Ora, però, ammette Cingolani “non siamo in grado di farlo, ma ci stiamo muovendo: il concetto di interoperabilità cambia tutto perché le nostre forze armate stava facendo uno sforzo immenso per digitalizzare per utilizzare i dati per avere la capacità di calcolo”.

Le debolezze europee

Cinoglani spiega quali sono i ritardi del vecchio continente: “L’ Italia con sessanta milioni di abitanti sarà anche fra i primi dieci paesi al mondo, ma non basta: qui manca il concetto di ragionare come continente che è il vero problema che noi abbiamo avuto sino a oggi, perché la Cina è un continente con un miliardo e quattrocento milioni di persone con una visione strategica unificata, giusta o sbagliata che sia. Gli Stati Uniti sono un continente di fatto e hanno una visione strategica molto precisa L’Europa non ci ha visto perché dopo ottant’ anni di pace pensava che fosse gratuita e purtroppo non è così: il modo migliore di evitare un conflitto è quello di essere pronti”. Cingolani parla dell’accordo raggiunto tra gli Stati Uniti e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “L’Europa ci garantisce seicento miliardi di acquisti in armamenti americani, ma quei fondi non li gestisce l’Ue perché sono la somma dei soldi che gli stati membri mettono insieme e la Commissione non ci può dire come spenderli. Se vuole farlo deve creare seicento milioni di fondi europei in più, ma non ci sono. Nessuno ce la fa da solo: dobbiamo in qualche maniera capire che se in Europa non ci mettiamo insieme e non siamo continente siamo destinati a diventare irrilevanti”.

Il rapporto pubblico-privato a questo punto è l’unica soluzione per risolvere un problema che altrimenti soluzione non avrebbe: “Abbiamo bisogno di recuperare un gap fondamentale su tutto quello che è stato infrastruttura digitale, abbiamo perso la corsa al wireless, abbiamo perso la corsa ai dati e soprattutto abbiamo perso quello che si chiama la public awareness, cioè la consapevolezza della digitalizzazione da parte dei cittadini”. Perché, spiega Cingolani, “non abbiamo alfabetizzato digitalmente il paese. Questo è stato un errore gravissimo, si è trattato di non avere a cura la sicurezza del paese. Nel futuro dobbiamo recuperare lo spazio nello spazio: quando l’America si è resa conto che la Nasa diventava troppo burocratizzata e non riusciva a mantenere fede ai programmi ha fatto entrare i privati e in pochi anni hanno creato il gap”.

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