La leader dem accoglie sul palco di Milano l’ex premier neozelandese e la portavoce dei Verdi olandesi. Ma lo schermo sul quale doveva apparire la traduzione resta nero per quasi tutto il tempo. Al pubblico, composto in gran parte da pensionati, non resta che fissare il vuoto, smarrito
Il Pd è riuscito nel miracolo di rendere astrusa persino la Festa dell’Unità, quella dei semplici e squisiti tortellini. Alle feste dell’Unità un tempo, nello sfrigolio delle salsicce, arrivavano le star della sinistra: Berlinguer, Pajetta, Natta con la sigaretta spenta all’angolo della bocca. Stavolta, invece, venerdì a Milano, è arrivata Jacinda Ardern, ex premier della Nuova Zelanda, che a occhio e croce per il pubblico del Corvetto, periferia meneghina, era più misteriosa della Regina Loana. Sul palco con lei Elly Schlein, segretaria del Pd, e Kati Piri, portavoce olandese dei Verdi di cui nessuno ricordava il nome nemmeno mentre parlava. E però parlava. Anzi parlavano. Tutte e tre. In inglese. Un inglese veloce, serrato, brillante, a tratti tecnico. La traduzione? Doveva apparire su uno schermo nero. Ma lo schermo nero, per definizione, è nero. E infatti lo è rimasto quasi tutto il tempo, con un povero traduttore che digitava a rallentatore e si perdeva tre frasi su quattro.
Il risultato: il 95 per cento del dibattito non tradotto, e un pubblico di pensionati, signori e signore simpatici e disposti a ogni martirio (quando Elly sorrideva applaudivano persino), che fissava il vuoto con lo stesso smarrimento delle mucche quando guardano passare i treni. Perché il pubblico, esclusi i ragazzi in prima fila con la maglietta gialla, era quello tipico da Festa dell’Unità al circolo Arci: signori con i capelli bianchi, ex quadri di sezione, la generazione che ancora chiama il portatile “il computerino” e si aspetta – tra le fumiganti pignatte – la tombola. E invece si sono trovati davanti a un seminario di geopolitica comparata tra Auckland e Wellington. In inglese! La Ardern continuava a citare i dibattiti sulla pesca nel Pacifico, la Piri discettava sulle politiche di asilo nei Paesi Bassi, e i volti dei vecchi compagni milanesi si stiravano come in un film di Jacques Tati: l’aria di chi pensa “ma queste che stanno dicendo?”. E sempre sognando i tortellini.