C’è chi passa le ore a immaginare la politica e chi, nel bene e nel male, la esercita come mestiere. L’ex premier non è il leader e non lo sarà mai più, ma forse è uno dei pochi che ancora sa costruire un palco. Non protagonista, ma necessario
I sindaci alla Leopolda, a ottobre, tutti da Matteo Renzi. Con Beppe Sala, Gaetano Manfredi, Matteo Ricci, Antonio Decaro, Eugenio Giani. Apre Silvia Salis, sul palco, la sindaca di Genova, volto fresco e imprevisto che il centro ha scelto come promessa di futuro, più eloquente di molti discorsi. Saranno questi, ce lo confermano da Genova e da Milano, alcuni degli ospiti del ritrovo renziano. Che assume un significato politico: qui si federa il centro della sinistra. E così il Pd lo tiene un po’ in disparte, lo nasconde come un parente indesiderato, lo invita alle Feste dell’Unità, sì, ma solo quelle provinciali, mentre lui, Renzi, sta già facendo la terza gamba di cui Elly Schlein ha bisogno per provare a vincere le prossime elezioni. Tutti ci provano, lui forse ci riesce.
A riprova, chissà, che la politica è una scienza nella quale non ci si improvvisa. Goffredo Bettini è ancora al telefono con Ernesto Maria Ruffini, Dario Franceschini è fermo alla benedizione di Alessandro Onorato, Renzi è già in scena, con i riflettori puntati e la platea piena. Puntuale come la vendetta. Non lo invitano, ma si presenta lo stesso. Trasforma la Leopolda in “casa dei riformisti”, stila un programma fondato sulla sicurezza, la natalità, tutto ciò che la sinistra sta perdendo di vista, e affida l’inquadratura principale alla sindaca di Genova mettendosi in disparte. Mentre gli strateghi ancora consultano le mappe, lui ha già montato la tenda e messo la musica. Non protagonista, ma necessario. In fondo la differenza è tutta lì: c’è chi passa le ore a immaginare la politica, e chi, nel bene e nel male, la esercita come mestiere. Renzi non è il leader e non lo sarà mai più, ma forse è uno dei pochi che ancora sa costruire un palco.