“Non più vittime, ora siamo in grado di difenderci”. Il senso del sionismo, l’occidente, i tabù da affrontare sugli accordi con i palestinesi
Iddo Netanyahu è un medico e drammaturgo israeliano le cui opere sono state tradotte e rappresentate in gran parte del mondo. E’ columnist per diversi quotidiani e conduce un programma radiofonico settimanale. Oltre a questo, è fratello di Benjamin Netanyahu, primo ministro d’Israele, e di Yonathan Netanyahu, grande eroe della storia di quel paese, morto giovane e bello, come gli eroi classici, mentre comandava il raid di Entebbe a soli trent’anni: una formidabile incursione nel territorio ugandese per liberare gli ostaggi israeliani ed ebrei tenuti prigionieri dai terroristi palestinesi e tedeschi dopo un dirottamento. Il loro padre era Benzion Netanyahu, caporedattore dell’Encyclopaedia Judaica, uno dei massimi esperti di storia dei marrani e collaboratore di Ze’ev Jabotinski, uno dei principali leader del movimento sionista. Dopo aver prestato servizio in Sayeret Matkal, unità d’élite dell’esercito israeliano in cui avevano servito entrambi i suoi fratelli e alla cui guida Yoni era morto, e dopo aver partecipato alla guerra dello Yom Kippur, Iddo decise di intraprendere una strada diversa da quella della politica e della sua continuazione con altri mezzi. Tuttavia, la sua prospettiva, sia interna, data la famiglia da cui proviene, sia esterna, non essendo direttamente coinvolto nella politica e avendo scelto come professione di prendersi cura delle persone e di rappresentare le loro storie, è un punto di vista privilegiato su ciò che sta accadendo in medio oriente.
Il punto di partenza di questa intervista è la percezione di Israele in occidente. Ci sembra che l’ostilità verso Israele sia ora più assoluta che mai, senza precedenti rispetto al passato. “E’ vero. Ci sono molte ragioni per questo, ma quella fondamentale sembra essere che l’occidente non ha alcun desiderio di capire cosa sta realmente accadendo. Forse ha perso la forza morale necessaria per interiorizzare la semplice verità che quando la propria esistenza è minacciata, a volte non c’è altra scelta che la guerra, e che la guerra è inevitabilmente crudele. Un altro motivo è che vuole credere, in maniera dogmatica, alla propaganda di Hamas, con le sue statistiche false sui morti civili, le sue false affermazioni sulla fame e i suoi video creati ad arte per bombardare i nostri smartphone con una vera e propria guerra psicologica. Tutto ciò alimenta il veleno anti israeliano che da molti anni ha penetrato le menti e gli spiriti dell’occidente. Questo spiega forse perché l’occidente abbia dimenticato così in fretta il pogrom del 7 ottobre: un vero e proprio massacro su vasta scala perpetrato con l’intento specifico di torturare e uccidere civili perché israeliani ed ebrei. E i terroristi di Hamas non hanno esitato a filmare con gioia le loro atrocità, affinché tutto il mondo potesse vederle. I nazisti, almeno, cercavano di nascondere i loro orrori. Sapevano che sarebbero stati probabilmente intollerabili, da vedere e conoscere direttamente, per la popolazione tedesca. Hamas non ha avuto tali scrupoli.
“Hamas e i suoi sostenitori – continua Iddo Netanyahu – sono i nazisti del nostro tempo, con lo stesso intento: sterminare gli ebrei. Gli autori degli attentati del 7 ottobre dichiarano apertamente che, se potessero, ripeterebbero il massacro su scala nazionale, domani e ogni giorno successivo. E’ da questo che ci difendiamo combattendo a Gaza. Ed è per questo che Hamas deve essere distrutto, sia come organizzazione militare che politica, affinché non possa più commettere simili orrori”.
Ciò che viene costantemente ripetuto è che esiste un intento genocida da parte del governo israeliano di sterminare una popolazione. E che la risposta di Israele è sproporzionata.
“Questo è totalmente falso. Usare il termine genocidio contro di noi è un ribaltamento della realtà. Con i mezzi a nostra disposizione, se avessimo voluto fare qualcosa del genere, lo avremmo fatto tanto tempo fa e rapidamente. Ci sono molte vittime civili, ovviamente e purtroppo, come è inevitabile in qualsiasi guerra urbana ad alta intensità, ma prestiamo la massima attenzione per ridurre al minimo il numero di vittime civili, anche se la popolazione con cui abbiamo a che fare è profondamente ostile nei nostri confronti. Facciamo ciò che nessun altro paese ha mai fatto per evitare la morte di civili nemici, dicendo ai gazawi di lasciare le zone in cui stiamo per intervenire, dove si trovano le roccaforti di Hamas con la loro enorme rete di tunnel sotterranei in cui si nascondono e da cui ci attaccano. Molto spesso, quando ci sono vittime civili, è perché Hamas trattiene i civili in quelle zone contro la loro volontà, per usarli come scudi umani e come materiale propagandistico, perché Hamas è effettivamente interessato ad aumentare il numero delle vittime civili per i propri scopi propagandistici. Tutto ciò è talmente perverso che è difficile da comprendere per le persone normali. Quindi a volte posso capire quanto sia difficile per chi non è qui e non deve affrontare questa realtà infernale. Ma dopo il 7 ottobre, almeno la grande maggioranza della popolazione israeliana capisce chiaramente tutto questo e sa che dobbiamo eliminare una volta per tutte il pericolo che Hamas rappresenta per noi. Non abbiamo altra scelta. Il resto sono solo chiacchiere di anime belle che, nella migliore delle ipotesi, si illudono sull’obiettivo finale dei palestinesi, che è la nostra distruzione”.
Il governo di Netanyahu è stato ripetutamente accusato di essere troppo di destra, in balìa di ministri religiosi come Smotrich e Ben-Gvir.
“Posso assicurarvi che è una sciocchezza. I partiti religiosi in Israele hanno quasi sempre fatto parte della coalizione di governo, sin dalla fondazione dello stato, quando Ben Gurion era primo ministro. Non so cosa significhi ‘troppo di destra’ nella situazione attuale. La società israeliana nel suo complesso si è spostata a destra negli ultimi trent’anni perché costretta a farlo dalla realtà. Ha capito, attraverso esperienze amare, quanto fossero futili e dannosi per la nostra sicurezza tutti gli sforzi di pace, con le nostre concessioni territoriali e di altro tipo nei confronti dei palestinesi. In ogni caso, Smotrich e Ben-Gvir sono i capi di piccoli partiti minoritari all’interno di una grande coalizione. A volte sono d’accordo con quello che dicono, a volte no, ma in ogni caso le decisioni finali sono prese dalla maggioranza, non da loro”.
Facendo un passo indietro, Israele è ancora oggi spesso considerato una forza di occupazione, una sorta di prodotto tardivo del colonialismo occidentale e quindi strutturalmente non autorizzato a essere lì.
“Ciò richiederebbe una discussione molto lunga. Ma, in breve, quello che abbiamo fatto è stato tornare alla nostra antica patria, a cui non abbiamo mai rinunciato, stabilendoci in una terra per lo più vuota, senza nulla, spesso afflitta dalla malaria, che abbiamo fatto fiorire. Certamente gli ebrei non sono, e non possono essere, una ‘potenza coloniale occidentale’ in Giudea, che è la terra da cui proveniamo e dove abbiamo vissuto per millenni prima della conquista araba del paese nel VII secolo. Ma gli arabi non hanno accettato il nostro diritto di stare qui e di ripristinare la nostra sovranità. Così, proprio il giorno della nostra dichiarazione di indipendenza nel 1948, ci hanno attaccato, cercando di cancellarci dalla faccia della Terra con una guerra che, nelle loro intenzioni, avrebbe portato alla nostra distruzione. Da allora, abbiamo sempre dovuto difenderci dai loro attacchi che avevano un intento genocida. Perché la sconfitta per Israele non ha mai significato una semplice sconfitta, come per qualsiasi altro paese, ma avrebbe significato l’annientamento. E anche questa è una realtà fondamentale di cui l’occidente non vuole rendersi conto”.
Un governo in balìa di ministri religiosi? “Smotrich e Ben-Gvir sono i capi di piccoli partiti minoritari all’interno di una grande coalizione: le decisioni finali sono prese dalla maggioranza, non da loro”. “La sconfitta per Israele non ha mai significato una semplice sconfitta, ma l’annientamento”
Dopo gli accordi di Oslo del 1993, c’è stato un barlume di speranza per una coesistenza pacifica tra israeliani e palestinesi. Questa prospettiva è culminata nell’accordo senza precedenti che Barak ha offerto ad Arafat nel 2000, e che questi ha rifiutato. Un ultimo tentativo di riavvicinamento è stato fatto anche da Sharon con il drammatico ritiro da Gaza nel 2005. Questa politica di appeasement non sembra aver funzionato.
“La risposta dei palestinesi a queste politiche di enorme apertura non è stata un riavvicinamento tra le parti, ma il rafforzamento, militare e non solo, degli elementi più radicali. La politica di appeasement, che personalmente non ho mai sostenuto perché la ritenevo sciocca e pericolosa, è finita come doveva inevitabilmente finire: ci siamo mostrati deboli, e ci siamo indeboliti. Abbiamo permesso ai terroristi palestinesi di minacciarci praticamente dentro casa nostra. I palestinesi semplicemente non accettano alcuna sovranità israeliana su alcuna porzione di terra, per quanto piccola – che si tratti del minuscolo stato ebraico che ci fu offerto nel 1937, o dello stato un po’ più grande ma comunque molto piccolo offerto nel piano di spartizione dell’Onu del 1947, proprio come non hanno accettato le offerte del primo ministro Barak e successivamente del primo ministro Olmert di uno stato palestinese nella Striscia di Gaza e praticamente in tutta la Cisgiordania. Il loro problema è l’esistenza stessa di uno stato ebraico, non le sue dimensioni o i suoi confini. L’Olp, che guida l’Autorità nazionale palestinese, e Hamas differiscono solo sul tipo di sistema politico da imporre: uno stato semi-laico o una teocrazia musulmana. Ma sono perfettamente d’accordo sull’idea che Israele non dovrebbe esistere. Quindi l’idea in cui crede l’occidente, e che alcuni israeliani continuano a sostenere, secondo cui si tratterebbe solo di “contese territoriali”, come è stato ad esempio in passato tra Italia e Austria, non si applica al nostro caso. Quelle questioni possono essere risolte. Ma per quanto riguarda la nostra situazione, questa visione è totalmente errata. La contesa non è territoriale, è esistenziale. Per i palestinesi, noi non dovremmo essere qui. Punto”.
Se così stanno le cose, inevitabilmente dobbiamo domandarci se la possibilità di una soluzione a due stati non sia che una mera illusione.
“Naturalmente è un’illusione perché ciò che ho paura che voglia la stragrande maggioranza dei palestinesi, come ho detto, non è uno stato ma la distruzione di Israele. Semplicemente non accettano l’idea di una sovranità non musulmana in nessuna parte di quello che considerano territorio musulmano. Se gli concediamo uno stato nel cuore del paese, lo useranno semplicemente come mezzo per attaccarci, proprio come hanno fatto da quando ci siamo ritirati dalla Striscia di Gaza vent’anni fa e abbiamo concesso loro uno stato de facto in quella zona. Tutto ciò che abbiamo ottenuto da loro sono stati continui attacchi missilistici sulle nostre città e il selvaggio e orrendo attentato del 7 ottobre. Come si può immaginare una soluzione a due stati in una situazione come questa? Uno stato palestinese, con un proprio esercito, basato sul presupposto di distruggere il suo vicino? Chi lo accetterebbe? Chi? Come possono alcuni leader europei essere così ciechi da riconoscere, in modo ridicolo e fantasioso, dato che non è mai esistito, uno Stato palestinese che sarebbe oltretutto governato da Hamas? E lo sarebbe se ci fosse, poiché è ciò che vuole la popolazione”.
“Se la scelta è tra garantire la nostra sopravvivenza schiacciando Hamas o migliorare la nostra immagine agli occhi dell’occidente cedendo ad Hamas, io scelgo la nostra sopravvivenza. Non possiamo essere responsabili dell’accecante desiderio dell’occidente di credere alle menzogne”
Ci si chiede allora, se due stati non sono possibili, quale potrebbe essere la soluzione. Israele e la comunità internazionale dovranno offrirla, una soluzione, alla popolazione palestinese dopo la distruzione di Hamas. Iddo ha un’idea drastica. Non necessariamente condivisibile ma ugualmente interessante da ascoltare ed eventualmente criticare.
“La domanda implica che la popolazione palestinese nel suo complesso sia in qualche modo prigioniera di Hamas, il che è ben lungi dall’essere vero. Essa sostiene Hamas, la sua ideologia e i suoi metodi con tutto il cuore. Il massimo che possiamo fare è lavorare secondo l’idea di Menachem Begin: i palestinesi vivrebbero in una sorta di autonomia smilitarizzata, governandosi da soli ma senza un esercito e senza il controllo dei confini. Questa è stata infatti la situazione in Cisgiordania per decenni. La realtà impone che non ci possa essere altra soluzione”.
Ma anche se Hamas fosse definitivamente sconfitto sul campo, non ha già in gran parte vinto la sua battaglia morale? Quella di distruggere l’immagine di Israele agli occhi del mondo, e dell’occidente in particolare, portandolo così all’isolamento.
“Se la scelta è tra garantire la nostra sopravvivenza schiacciando Hamas o migliorare la nostra immagine agli occhi dell’occidente cedendo ad Hamas, allora io scelgo la nostra sopravvivenza. Non possiamo essere responsabili dell’accecante desiderio dell’occidente di credere alle menzogne e alle invenzioni su Israele che perpetra il genocidio, e della sua pervicace volontaria ignoranza verso i pericoli dell’Islam radicale. Perché, dopo tutto, anche la distruzione dell’occidente è l’obiettivo di Hamas, un’organizzazione della Fratellanza musulmana, così come lo è per il resto degli islamisti radicali.
“L’occidente si sta illudendo al riguardo, forse per codardia. Ma la codardia è spesso il risultato di una debolezza morale. Ed è proprio questa debolezza morale che deve essere affrontata in primo luogo da coloro che credono che l’occidente, e tutto ciò che ha realizzato per l’umanità nel corso dei secoli, valga la pena di essere preservato”.
Spesso le comunità ebraiche occidentali temono che la memoria dell’Olocausto rischi di essere compromessa da questa guerra. Che il debito morale che l’occidente aveva nei confronti degli ebrei dopo l’Olocausto venga cancellato da ciò che sta accadendo a Gaza.
“Se un ebreo vuole vivere la propria vita in base a un debito che l’occidente ha nei suoi confronti, allora conduce un’esistenza molto povera. Un ebreo dovrebbe essere accettato per quello che è, non per via di un debito morale nei suoi confronti. E se non si sente benvenuto nel paese in cui vive, dovrebbe semplicemente andarsene e tornare nella sua vera patria, che è Israele. E’ vero che in passato l’occidente era più favorevole a Israele a causa di ciò che era accaduto con l’Olocausto, ma era qualcosa destinato a svanire. E infatti è svanito molto rapidamente. Ma l’esistenza ebraica nella diaspora è sempre stata precaria, ed è proprio questo il motivo per cui Israele è stato creato, per consentire agli ebrei di riunirsi nel proprio paese e proteggersi. La lezione dell’Olocausto è ancora viva tra gli israeliani: credici quando i nemici dicono che vogliono distruggerti e assicurati di avere i mezzi e la volontà per resistergli. Questo è ciò che ci ha portato, ad esempio, a distruggere recentemente il programma nucleare iraniano”.
Per molto tempo gli ebrei sono stati considerati “l’icona” della vittima, la vittima per eccellenza. Ora, invece, gli ebrei israeliani sono considerati i carnefici per eccellenza.
“Gli ebrei erano considerati le vittime per eccellenza perché erano effettivamente le vittime per eccellenza. Non avevano forza militare ed erano in balia dei pogrom nei luoghi in cui vivevano come ospiti. Questo è stato il caso per tutta la nostra storia dopo che gli ebrei furono costretti a lasciare la loro patria e a vivere nella diaspora. Eravamo in balia della benevolenza o degli interessi economici di un sovrano. Ma è qui che entra in gioco il grande cambiamento portato dal sionismo. Non più vittime, ma in grado di difenderci. Fino al nostro ritorno in terra d’Israele, eravamo totalmente indifesi. Ma cosa si può fare se Israele si trova nel cuore del medio oriente, che era, ed è, estremamente instabile e incline alla guerra? Per proteggerci, dobbiamo essere armati; non c’è altro modo per sopravvivere ed esistere in medio oriente. A volte dobbiamo fare la guerra, perché la guerra ci viene portata alle porte. Ovviamente, non vogliamo più essere vittime. Chi vuole essere una vittima? Non lo so, forse l’Europa oggi vuole essere una vittima, forse è questa la sua aspirazione. Non la nostra! Non capisco la loro mentalità. La loro debolezza è incredibile”.
Giunti alla fine della nostra intervista, chiedo a Iddo Netanyahu se ha qualcosa da dire all’Italia e, più in generale, agli europei.
“Penso di aver detto abbastanza, ma vorrei concludere raccontando questo episodio. L’altra settimana ero a Vienna, seduto con alcuni amici in un caffè all’aperto, quando una ventina di giovani corridori si sono fermati accanto a noi, aspettando che il semaforo diventasse verde per poter attraversare la strada e continuare la loro corsa. Erano in forma, sorridenti e pieni di energia positiva. Continuavano a correre sul posto per non perdere un attimo di esercizio. Quasi tutti erano europei e tre di loro erano avvolti in una bandiera palestinese. Hanno iniziato a gridare all’unisono “Palestina libera! Palestina libera!”, seguendo il loro leader, che usava un megafono e gridava con un forte accento tedesco. Quando il semaforo è diventato verde, sono partiti di corsa. Mi ha ricordato una scena del film Cabaret, ambientato a Berlino poco prima che i nazisti salissero al potere. Il protagonista è seduto in un caffè all’aperto, godendosi il bel tempo, quando un affascinante giovane, vestito con un’uniforme della Gioventù hitleriana e adornato con una svastica, si alza e inizia a cantare con voce dolce e melodiosa “Il mondo mi appartiene”, parlando del futuro luminoso che stavano inaugurando per tutti. Una dozzina di clienti si uniscono allegramente al suo canto. In entrambi i casi, nel film e nella realtà, i volti felici e compiaciuti – che gridino uno slogan di Hamas o uno nazista – mi hanno turbato e disturbato. Questi sono molti dei giovani europei di oggi, ed è davvero spaventoso”.