Tenero rock all’Ypsigrock

Musica alternativa, amicizia, sogni che si avverano. È il festival che risuona a Castelbuono. I bambini accorrono per Lucio Corsi

Estate 1997, Castelbuono, borgo medievale di ottomila abitanti in provincia di Palermo. Vincenzo Barreca e Gianfranco Raimondo, vent’anni, hanno un’idea folle: portare il rock alternativo e indipendente ai piedi del Castello dei Ventimiglia, nel cuore delle Madonie. Non una festa di paese ma un vero festival con artisti internazionali, curato con passione e lontano dalle logiche del “mordi e fuggi” dei festival mainstream, annegati da fiumi di birra scadente e cibo spazzatura. Il progetto sembra impossibile – costi altissimi, zero sponsor, logistica infernale, pubblico tutto da inventare – a quasi due ore da Palermo. Eppure così nasce Ypsigrock (Ypsigro, luogo fresco, è l’antico nome bizantino di Castelbuono), il primo “boutique festival” italiano, oggi riconosciuto a livello europeo per la sua qualità artistica e per la sua unicità: utopia da ventenni con gusti musicali raffinati e una buona dose di incoscienza che ricorda il festival “Palermo Pop 70”, mitologica kermesse musicale passata alla storia come la “Woodstock siciliana”. Quella di Ypsigrock, tuttavia, non è una storia inventata, né un sogno dimenticato come quasi tutti quelli immaginati nell’isola: oggi, a distanza di ventotto anni, Ypsigrock è l’unico festival italiano a essere stato citato agli UK Festival Awards nel 2013, 2016 e 2019, ha una presenza costante di quasi diecimila spettatori e compete con manifestazioni ben più strutturate come i celebri Primavera Sound di Barcellona, Le Guess Who? di Utrecht o All Tomorrow’s Parties di Londra. A Castelbuono, nell’entroterra agricolo, sono incredibilmente passati gli alfieri della moderna psichedelia californiana Flaming Lips e gli inglesi Spiritualized, i post-rocker scozzesi Mogwai e i paladini della new-wave schizoide Pere Ubu, gli americani The National e gli inglesi Editors. E poi ancora il rapper Loyle Carner, Cigarettes After Sex, Primal Scream, Alt-J, Gang of Four, Seun Kuti & Egypt 80, Moderat, Dinosaur Jr. e, tra i tanti altri, pure una band esordiente che proprio dopo aver suonato al castello è esplosa a livello planetario: gli irlandesi Fontaines D.C.

Estate 2025. “Ogni piccolo tassello di questa avventura è una follia”, racconta Lorenzo Marsiglia, musicista e producer palermitano trasferitosi a Bologna, “e probabilmente anche questa concatenazione di follie rappresenta la sua magia perché ne fa qualcosa di non replicabile altrove”. Suo padre è un castelbuonese, e Lorenzo qui ha passato tutte le vacanze prima come fruitore del festival, poi anche come collaboratore. “E’ già difficile intercettare le tournée nazionali degli artisti che ci piacciono e portarli a Bologna. Figurati qui, a 400 metri sopra il livello del mare, in una piazza ai piedi di un castello”.

Negli anni Castelbuono ha imparato a condividere questa follia trasformandola in una delle sue principali risorse: B&B e alberghi diffusi, ristoranti, pizzerie, un campeggio con 500 posti letto immerso nella pineta del Parco delle Madonie.

Fin dal suo esordio Ypsigrock ha puntato tutto su un’esperienza immersiva non solo focalizzata sulla musica ma soprattutto sul vivere il territorio, sulla gastronomia, sulla natura. Il suo impatto sul paese è sostenibile e la sua microeconomia ha avuto una reale influenza nella rigenerazione urbana. La piazza del castello può ospitare ogni sera circa 2.500 spettatori, per un totale di diecimila presenze in quattro giorni di festival, e il popolo degli ypsini ha un tale senso di comunità da favorire appieno la condivisione dell’atmosfera familiare del paese, cosa davvero rara per un evento musicale di rock e sperimentazione.

“La comunità di Castelbuono è cresciuta con noi”, sostiene Maurizio Turrisi, ufficio stampa del festival e pure lui expat bolognese, “nel ‘97 la gente che lavorava fuori tornava d’estate per la passeggiata in piazza, il piano bar e la festa patronale. All’inizio avevamo anche noi i punkabbestia ed eravamo considerati i diavoli che disturbavano la quiete. Per fortuna la qualità della musica e della gente ha fatto scomparire gli onnipresenti sballati con cani al seguito e l’indotto economico virtuoso del nostro pubblico è stato chiaramente ben accolto dal Comune” e luogo d’incontro di migliaia di persone, Gianfranco va indietro con la memoria alle tante difficoltà di un festival di nicchia, puntualmente dimenticato dai grandi enti e sostenitori: “Ypsigrock è diventato una festa comandata, come Natale o Carnevale. Ma negli anni ci sono stati molti momenti di crisi, soprattutto agli inizi. Crisi che si è poi riproposta drammaticamente con il Covid. Nel 2021 abbiamo ideato una versione ridotta ma con costi davvero spropositati rispetto al bacino d’utenza, ma devo dire che lo Stato e le Istituzioni hanno dato una serie di contributi importanti. Altrimenti non avremmo potuto farcela”.

In un vicoletto due bambini rincorrono un pallone arancione, lontani dal frastuono del party inaugurale dove i grandi ballano su un mix di Bronski Beat e Björk. “Anche voi qui per il festival?” chiedo. Si fermano, mi guardano come se fossi arrivato da un altro mondo: “Lucio Corsi!” esclama uno, poi torna a giocare con l’amico. E’ lui il protagonista di questa prima sera, più dei nomi altisonanti in line up: cantautore con gavetta vera, chilometri tra i palchi underground, canzoni cesellate e ottimamente eseguite. Marsiglia aveva ragione: ci si perde nel flusso umano che sale da piazzetta Margherita a via Sant’Anna, fino all’imponente Castello. Ma la musica è solo il punto finale di una grande festa che celebra molto di più: cibo, amici che si ritrovano qui ancora dopo quindici anni, il videomapping dell’americana Ionee Waterhouse che veste i palazzi millenari di luce e futuro. Tra salumerie con panini e vino locale, ricami e pizzi e un barbiere donna per soli uomini, non è raro sentire parlare inglese da molti ospiti, quasi il 40 per cento del totale, arrivati da tutta Europa.

Al Castello si suona da un po’ e Carpetman, artista mascherato ucraino, scalda il pubblico con la sua bella miscela di soul ed elettronica. I concerti durano un po’ meno di un’ora e tra l’uno e l’altro c’è sempre tempo per una broscia con gelato o un’arancina in piazza. Le Lambrini Girls, le due sfacciate punk di Brighton, accendono la miccia della ribellione della Generazione Z urlando con forte accento cockney slogan contro misoginia, omofobia e fascismo, e il pubblico ovviamente gradisce. Poi arriva lui, il rocker fragile e vulnerabile che ha conquistato grandi e piccini: “Vivere la vita è un gioco da ragazzi”, fa cantare in coro il musicista toscano incassando il meritato successo di una canzone rock fatta come dio comanda, “io volevo essere un duro, però non sono nessuno, non sono altro che Lucio”. E’ davvero una sorpresa vedere una platea così variopinta vivere questo momento di condivisione spensierata fregandosene di etichette, generi e pose da influencer.

L’indomani qualcuno si è svegliato presto per tentare un tuffo nelle morbide spiagge di Cefalù, chi è rimasto in paese si gode la pasticceria appena sfornata. Di giorno Ypsigrock si fa crocevia di incontri tra appassionati di musica, addetti ai lavori e semplici turisti: al bar si incontrano John Harbison, manager londinese della band Ugly che suonerà stasera, e Richard Greenhan, boss dell’etichetta Kite Records e mentore alla Goldsmiths University di Londra, con la giovane Priyaji. Gli Ugly, ensemble post-rock guidato dalla brillante Jasmine Miller-Sauchella, incantano con voce funky e radici partenopee; Priyaji intreccia elettronica, ritmi lenti e melodie asiatiche. “Ho viaggiato ovunque con le mie band, dagli Stati Uniti all’India”, dice Harbison, “ma un festival così magico non l’ho mai vissuto: Ypsigrock riflette il ricco crogiolo culturale di quest’isola”. Con Greenhan, che è piacevolmente colpito dall’atmosfera rilassata e coinvolgente del festival, partecipo all’incontro “Art Careers Beyond the Mainstream” in cui ci si interroga su come sostenere carriere artistiche fuori dai circuiti pop, tra visioni europee e speranze per un futuro più aperto al networking e alla sperimentazione.

“Sapevo che Ypsigrock sarebbe stato speciale, ma ha davvero superato le mie aspettative”, afferma Jasmine, la cantante degli Ugly, emozionati per il loro primo concerto in Italia, “un’esperienza e un’atmosfera indimenticabile. Grazie anche al meraviglioso pubblico che ha ascoltato le nostre parole e le nostre canzoni con tanto rispetto ed entusiasmo”.

“Gli amici di Ypsigrock fanno qualcosa di straordinario, non solo concerti in posti bellissimi dove si sente bene e con una gestione dei flussi piacevole, ma è tutto il lavoro di selezione a monte che è più unico che raro”, dice Rodrigo D’Erasmo, uno dei tanti musicisti molto noti che è qui solo per godersi il festival e senza strumento a tracolla, “ogni anno da Ypsi mi porto a casa uno o due nuovi gruppi da ascoltare per il resto dell’anno, se non addirittura da portarmi dietro per lungo tempo come è stato con i Fontaines D.C.”. Con il celebre violinista e produttore che ha suonato, tra i tantissimi, con Afterhours, Calibro 35, Steve Wynn, John Parish, c’è anche Antonio Diodato, con cui suonerà nei prossimi giorni a Palermo. “Quest’anno, per la prima volta, ho la possibilità di vivere due giornate all’Ypsigrock. E’ sicuramente uno dei migliori festival in cui sono stato da spettatore”, gli fa eco l’amico cantautore pugliese, “si percepisce un fortissimo senso di comunità che assieme alla splendida scelta artistica rende tutto ancor più intenso, prezioso, soprattutto di questi tempi”.

Le ragazze in fila per panelle e arancine sono venute apposta da Bologna per Julian Casablancas, il rocker americano leader degli Strokes che al festival presenta il nuovo progetto The Voidz, ma nonostante la sua presenza scenica e le indubbie doti canore, Casablancas annoia profondamente. Chi commuove tutti, invece, chi lo conosce già e chi lo scopre qui per la prima volta è Alan Sparhawk, chitarrista di Duluth, Minnesota, la città di Dylan, che da qualche anno ha iniziato un luminoso viaggio musicale da solista dopo la tragica scomparsa della moglie, entrambi anima e cuore del gruppo di culto Low: nel chiostro di San Francesco, poco prima del tramonto, regala al foltissimo pubblico un’esibizione indimenticabile suonando le sue toccanti ballate intrise di dolore e redenzione accompagnato dal figlio Cyrus al basso. Ypsigrock è un costante alternarsi di gioia, festa, malinconia e poesia, come il rock dovrebbe essere. Almeno quello che non insegue il successo a tutti i costi vendendo l’anima al fottuto algoritmo.

Il festival scivola dolcemente verso la fine, tra sorprese inaspettate come Milo Korbenski, nascosto dietro una maschera spettrale, e la divina Sylvie Kreusch che volteggia leggiadra sul palco. Ai piedi del castello catturo una foto di tre giovani, chini sui cellulari e immersi nella musica e nei sogni. Pochi giorni dopo, uno di loro rintraccia lo scatto su Instagram e mi scrive commosso: “E’ bellissima, non ce l’aspettavamo. Il coronamento di una serata”. Matteo, Salvo e Marta, poco più di vent’anni, quel giorno hanno guidato per ore dalla provincia di Agrigento a Castelbuono, in strade scassate tutte curve con il desiderio di partecipare a un evento indimenticabile. Suonano insieme e qualche anno fa erano venuti addirittura a Bologna per il concerto dei Fontaines D.C., band diventata mitica proprio dopo l’esibizione a Ypsigrock. Vorrebbero diventare famosi anche loro ed effettivamente potrebbero salirci, un giorno, sul palco di Ypsigrock. Proprio come hanno fatto Vincenzo, Gianfranco e tutti gli altri ragazzi e le ragazze in questi ventott’anni: con pazienza, lavoro e tenacia. E’ l’unico modo di trasformare i sogni, nessuna scorciatoia. Nel frattempo, aspettiamo con curiosità i nomi degli artisti che si esibiranno l’anno prossimo. Perché qui, nel cuore pulsante del festival, come dicono gli ypsini, “il futuro è già nostalgia”.

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