Dopo Prato, Milano è la città con la più elevata presenza straniera. Si parla di inverno demografico, ma qui non si è visto. Occorrono però scelte per recuperare gli squilibri e bloccare la fuga di cervelli
Come può evolvere il modello Milano? Idee e spunti ci arrivano dai rettori delle principali università: Donatella Sciuto (Politecnico), Elena Beccalli (Cattolica), Giovanna Iannantuoni (Bicocca) e Francesco Billari (Bocconi). Il Foglio li aveva messi intorno a un tavolo a metà luglio, durante un evento sulle Smart City che si è svolto nella sala delle Colonne di Banco Bpm, appena prima, una casualità, che scoppiasse la bufera giudiziaria e quel modello di sviluppo subisse un processo (molto) mediatico. La pausa di riflessione estiva e l’inizio di un nuovo anno accademico offrono l’opportunità di tornare a ragionare sul tema a mente fredda. Non c’è dubbio che dal mondo della cultura e della formazione arrivi la richiesta di un cambio di passo verso una città che riesca a conciliare attrattività e inclusività. Che, secondo le opinioni espresse in questo forum, vuole dire aumentare l’accessibilità per studenti e giovani lavoratori e valorizzare la vocazione internazionale considerato che su 240 mila iscritti negli otto atenei, 20 mila sono stranieri. Grazie a questa vocazione, a Milano e dintorni l’inverno demografico è un fenomeno sconosciuto.
Donatella Sciuto, rettrice Politecnico di Milano
Milano è città intelligente se sa crescere in modo equo. E’ coraggiosa se sa guardarsi allo specchio e imparare dai suoi errori cercando di recuperare gli squilibri. Penso ai giovani, che sono i miei primi interlocutori e senza i quali non c’è futuro. L’Italia, ce lo ha ricordato qualche giorno fa il Forum Ambrosetti, è l’unico paese Ocse in cui i salari reali medi sono diminuiti negli ultimi vent’anni (meno 3,5 per cento dal 2000 al 2023 a confronto con un più 17,8 per cento a livello Ocse e più 27,4 per cento in Usa). E’ evidente come questo renda a molti poco sostenibile vivere a Milano dove, secondo il nostro Osservatorio Oca (Osservatorio Casa Abbordabile), tra il 2015 e il 2023 i prezzi di compravendita degli immobili residenziali sono cresciuti del 58 per cento; i canoni di locazione del 45 per cento. Una contraddizione per una città che vuole essere riconosciuta come capitale italiana della ricerca, delle startup, della formazione superiore. Per i giovani – studenti, neolaureati, imprenditori – questa contraddizione rende la città poco accessibile. Il Politecnico risponde con duemila posti letto già disponibili e altri mille in cantiere, oltre 9,5 milioni l’anno di spesa da parte nostra per garantire il diritto allo studio al 100 per cento degli aventi diritto. Ma è evidente che non basta: serve una misura di sistema, coraggiosa e condivisa, che consideri l’inclusione non un costo, bensì un investimento sul futuro di Milano.
Giovanna Iannantuoni, rettrice Università Bicocca e presidente Confederazione italiana dei rettori
L’Università statale Bicocca di Milano è per dimensioni e numero di studenti (circa 40 mila) paragonabile alla statunitense Columbia University, che è privata. Sapete a quanto ammonta il fatturato della Bicocca? 380 milioni. E sapete a quanto ammonta il fatturato della Columbia? 7 miliardi, di cui 2 miliardi sono soldi pubblici. In questi numeri c’è la differenza tra due sistemi: il nostro è penalizzato da una collaborazione ancora insufficiente tra l’ateneo e i privati, ma stiamo cercando di fare passi in avanti su questa strada con l’aiuto di Confindustria che ci sta supportando nel confronto con il mondo delle imprese. Tutto questo ha un forte legame con il concetto di smart city perché una città è realmente tale se è in grado di sostenere la competizione internazionale, è tale solo se i servizi che produce sono realmente accessibili. E quello degli alloggi per gli studenti è un capitolo fondamentale del diritto allo studio. In quest’ottica, la Milano del futuro deve fare un passo non tanto avanti, quanto verso. C’è bisogno di una più ampia collaborazione fra il settore privato che investe e quello pubblico in funzione calmierante. Non nel tentativo di inventare un nuovo trucco assistenziale, ma con la consapevolezza che i giovani rappresentano il cuore pulsante di una città, che la loro presenza genera flussi economici ed evita che intere zone urbane si trasformino in dormitori di chi vive altrove. La crescita vera è stabile ed è un risultato che si ottiene nel medio termine, come succede con un titolo accademico.
Elena Beccalli, rettrice Università Cattolica del Sacro Cuore
Per conservare la sua attrattività e il primato di città accogliente, Milano dovrà affrontare con decisione il tema degli studentati e della residenzialità, inclusa quella per i giovani al primo impiego. Un impegno che non riguarda solo i fuori sede italiani. Milano, infatti, ha un carattere internazionale che si riflette anche nel suo sistema universitario, con gli oltre 17 mila studenti provenienti da altri paesi. In questo senso la città ha il potenziale per sviluppare un modello innovativo che consenta di fermare la perdita di capitale umano. A trainare la fuga dei cervelli è, come ha recentemente documentato un’indagine di Assolombarda su giovani e lavoro, vi è un’insoddisfazione verso il sistema paese nella ricerca di un lavoro adeguato e corrispondente alle proprie competenze (60 per cento del campione). Questo dato è particolarmente preoccupante, considerato che la fuga di cervelli è costata all’Italia circa 134 miliardi e sono stati circa 550 mila i giovani espatriati tra il 2011 e il 2024, secondo uno studio presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est. Per ogni giovane che arriva in Italia dai paesi avanzati, otto italiani vanno all’estero. Rispetto al resto d’Europa, l’Italia è all’ultimo posto per capacità di attrazione di giovani, accogliendo solo il 6 per cento di europei, contro il 43 per cento della Svizzera e il 32 per cento della Spagna. Molti vanno via per ricercare migliori opportunità lavorative (25 per cento). Dobbiamo insieme impegnarci a rendere Milano una città capace di attivare la circolazione dei cervelli bloccandone la fuga. Ciò richiede innanzitutto un’offerta formativa in lingua inglese, cosa che ha contribuito a fare diventare la nostra università un “microcosmo internazionale”. Ogni anno 3.000 nostri studenti vanno a studiare all’estero ma 2.000 da altri paesi vengono da noi. E’ la dimostrazione che si può provare a costruire un ecosistema e un circolo virtuoso.
Francesco Billari, rettore Università Bocconi
Dopo Prato, Milano è la città con la più elevata presenza straniera, che a partire dal 2001 è molto aumentata anche in territori adiacenti come Monza-Brianza e Lodi. Si parla di inverno demografico ma qui non si è visto. Se si mette, infatti, a confronto il tasso di occupazione della popolazione e la crescita del numero delle imprese il risultato è che si è generato un circolo virtuoso: la demografia delle persone è andata di pari passo con la demografia delle imprese. Il periodo preso in esame è il primo quarto dell’attuale secolo. In questo arco di tempo in cui nelle tre province la presenza straniera è cresciuta, anche il numero di imprese attivo è aumentato in controtendenza con la media nazionale. Di conseguenza, si registrano forti aumenti dei tassi di occupazione: Milano è passata dal 50,7 al 71,7 per cento, Monza Brianza dal 51,6 al 70,8 per cento, Lodi dal 49,7 al 65,8 per cento. Al contrario, la media nazionale degli occupati a fine 2024 si è fermata al 62,2 per cento. Inoltre, al 31 marzo 2025 la percentuale di imprese straniere sul totale era al 17 per cento a Milano, al 13,2 per cento a Monza Brianza, al 15,6 per cento a Lodi, contro una media nazionale dell’11 per cento. I dati dimostrano che in zone in cui si fanno sempre meno figli, la presenza straniera ha aiutato a contenere il processo di invecchiamento demografico e a creare nuovo sviluppo economico. Quindi, una città smart è una città che attira. A questo sono connesse, ovviamente, delle sfide: per il futuro dovremo capire come affrontare il crescente aumento della diversità nella nostra popolazione.