Statista? Mah, Pertini capì solo che per piacere agli italiani basta poco

Il presidente seppe accendere l’anima anticasta degli italiani con decenni di anticipo sul grillismo. Grazie alla dabbenaggine del pubblico, gli riuscì di apparire come l’unico puro in un mondo politico cinico, che però era anche il suo

Negli anni Novanta, Repubblica fece un sondaggio tra i lettori per eleggere il migliore e il peggiore statista del secolo. Vinsero Pertini e Andreotti, rispettivamente. Se non altro, il sondaggio servì a dimostrare che gli interrogati non conoscevano il significato di “statista”. Trent’anni dopo, il tempo invece di chiarire, ha peggiorato l’equivoco: “Il partigiano come presidente” (Toto Cutugno), “il presidente più amato dagli italiani” torna alla ribalta con vie e piazze intitolategli, e un libro postumo, Una certa idea di socialismo (Solferino) che raccoglie discorsi parlamentari, lettere, interviste, articoli e scritti sparsi.

Non è facile capire quando e come Pertini, il cui principale merito (a parte la vittoria del Mondiale ’82) fu finire nelle carceri fasciste, si è fatto una idea del socialismo o di qualunque altra cosa. “Il compagno Sandro ha la testa tutto osso”, diceva Pietro Nenni, con lui al confino, dove leggeva soltanto i fumetti dell’Intrepido. Il mio primo ricordo personale è Pertini accorso al pozzo dove era caduto il bambino Alfredo Rampi: appena intuì come stava per chiudersi la faccenda, il presidente tagliò la corda. La sua ambizione era mostrarsi in tv appropriandosi delle lacrime e i sorrisi degli altri, ma solo se costavano poco. Lesto a sposare qualunque umore purché popolare, la voce rotta dall’emozione e l’occhio già lucido, Pertini seppe accendere l’anima plebea e anticasta degli italiani con decenni di anticipo sul grillismo. Grazie alla dabbenaggine del pubblico, gli riuscì di apparire come l’unico puro in un mondo politico cinico, che però era anche il suo. Il frasario del Nostro è un crescendo di rigorismo a buon mercato: si va dal prevedibile “l’uomo politico prima di tutto deve avere come comandamento: fare la politica con le mani pulite” a un più ardito “la corruzione è un’offesa al popolo onesto”. Ardito, sì, perché vuole far credere che gli italiani siano diversi da come sono e meritino una classe dirigente migliore.

Ma l’abc di qualunque statista, per quanto ingenuo, è sapere che un popolo ha la classe dirigente che si merita. Né più, né meno. Un uomo di stato parte da questa amara lucidità: con me va male, senza di me andrebbe peggio. Il suo scopo è salvare la capra e i cavoli, e per raggiungerlo deve chiedere uno sforzo a chi lo ha eletto. La convinzione opposta – che il popolo è fondamentalmente buono e la classe politica deve sollevarsi per stare alla sua altezza – diventa vera dopo diversi bicchieri di vino. Il significato storico di Pertini è che, con lui, i discorsi del bar risuonarono dal megafono della più alta carica dello stato. Altro che “idee di socialismo”: l’unica idea di Pertini era che il popolo ha sempre ragione. Ecco perché fu – e resta – il presidente più amato, il quale capì che per piacere agli italiani basta poco: non chiedergli nulla, sputare nel piatto in cui si mangia e piangere le lacrime che noi siamo troppo indaffarati nei soliti magheggi per avere il tempo di versare.

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