“La voce del padrone” di Francesco Pacifico è la prima opera sul femminismo scritta da un uomo che sembra onesta e degna di considerazione. L’autore, un maschio bianco non ancora di mezza età, analizza le reazioni sincere degli uomini al nuovo ordine sociale in cui le donne sono (più) libere
La frase forse più nociva per il femminismo è “il femminismo fa bene anche agli uomini”. Non perché il concetto sia del tutto falso, ma perché è vero in un modo talmente specifico, e valido solo su tempistiche talmente lunghe, che non si può fare quell’affermazione da sola in buona fede. Oltretutto è una presunzione teorica, una cosa del tipo: dateci i vostri posti di potere, lasciate che diventiamo i vostri capi, che parliamo in tv e in radio, che scriviamo sulle prime pagine dei giornali (al posto vostro). Voi in cambio sarete liberi di essere fragili. Seh, ciao. Alcune donne dicono: “gli uomini sono scemi” – non lo condivido, tra l’altro hanno inventato tutto un ingegnoso mito dell’uomo per giustificare il proprio dominio, ma in ogni caso: non sono così scemi.
Francesco Pacifico, scrittore, traduttore, maschio bianco non ancora di mezz’età, racconta tutto questo in “La voce del Padrone“ (add), nella prima opera sul femminismo scritta da un uomo che mi sembra onesta e degna di considerazione. E’ un saggio-monologo la cui premessa è proprio la sincerità, cioè analizzare le vere reazioni degli uomini al nuovo ordine sociale in cui le donne sono (più) libere, in alcuni casi hanno più potere, nel senso concreto di più ruoli ambiti, opportunità di parola, posti sui palchi e microfoni. Pacifico parla di sé, del suo incontro con il femminismo negli ultimi vent’anni – un incontro di cui riporta anche il senso di minaccia e la pericolosità. Le risorse non sono infinite. Non c’è “posto per tutti”, perché tutta la nostra società è organizzata secondo il principio di scarsità e di finitezza: sono finite le risorse economiche, i lavori, il numero di libri che si possono pubblicare in un anno: “Vent’anni fa, quando ho pubblicato il primo romanzo, nessuno segnalava mai il fatto che tra le decine di nuove penne considerate promettenti dal mio ottimo editorie indipendente solo una fosse donna”.
Veramente noi lo consideravamo, ma quello che dice Pacifico è che il femminismo non era ancora tornato e quindi noi non avevamo voce. I capi ci urlavano e ci dicevano che quello che scrivevamo era stupido, di regola. Meno le urla, può succedere ancora: le cose sono cambiate da quando abbiamo l’opportunità di lavorare per le donne (aggiungo: se al vertice c’è una donna e se l’ambiente è a prevalenza femminile). Pacifico coglie bene il punto: si tratta di avere riferimenti e codici simili, sistemi valoriali inconsci – racconta che tutte le volte che ha avuto un’idea l’ha proposta a un editore e più o meno senza resistenze l’ha sviluppata. Per noi è una lotta: sinceramente vorrei non dover più spiegare un’idea a un uomo nella mia vita, può sembrare di parlare col nemico perché loro ci considerano il nemico, e questo tema della lotta Pacifico lo analizza nel suo ragionamento. La lotta che dobbiamo fare tutti – “sotto la patina della civiltà c’è la lotta per la sopravvivenza” e quella delle donne per lavorare. “E’ una cosa da ricchi dire che c’è posto per tutti”. Altri temi investigati con franchezza: la scissione interna, il bisogno di essere mitizzati, la gerarchia degli uomini.
Come ha fatto Francesco Pacifico, che ha sempre lavorato con facilità per sua stessa ammissione, è abituato a stare sopra ai palchi, a vedersi da fuori? Ha individuato dentro di sé “due omìni”: l’omìno offeso, che conta i giorni in cui è stato trascurato” e “l’omìno euforico che seguendo da lontano le imprese della donna amata ha lo spazio per vivere una vita propria” (ecco: il femminismo fa bene anche agli uomini!)? “Noi due omìni esistiamo in questa forma perché Francesca mi ha aperto la pancia e ci ha tirati fuori di lì”. Francesca. Noi amiamo Francesca.