Il defilippismo non è solo un’abile e oramai affilatissima strategia di marketing televisivo, è un pensiero, una filosofia, una weltanschauung che ha dato un’accelerazione folle, una spinta parossistica, uno slancio dagli esiti inimmaginabili
Esterno giorno. C’è un uomo che corre come un forsennato sulla spiaggia di Guardavalle Marina, lo inseguono a perdifiato un operatore di ripresa con tutto il peso della steadycam, l’aiuto operatore, un fonico e anche due o tre autori/sceneggiatori che nemmeno la buonanima di Mennea nel giorno del record dei 200 metri piani a Città del Messico. Corre, corre e corre ancora l’uomo, tanto da perdere quasi il costume davanti a mezza Italia televisiva, ma tant’è: pure con le chiappe al vento, urge comunque chiarirla, questa faccenda, mica la sua donna può abboccare alla lusinga di un qualsiasi fighetto che le ha promesso di portarla a vedere il Napoli in Tribuna Posillipo, mentre lui invece l’ha sempre portata (quando ce l’ha portata) solo in curva, non riesce nemmeno a immaginarseli, la sua donna e l’altro, nei posti più ambiti del “Maradona” a godersi dall’alto, vista panchina, le prodezze di Di Lorenzo & Compagni. Ecco qui, bell’e servita, l’Italia (sarebbe ipocrita chiamarla, con prurigine intellettuale, Italietta) di “Temptation Island”, isola che il titolo straniero evocherebbe sperduta in chissà quali località esotiche mentre è solo un set a 70 chilometri da Catanzaro.
Eccolo qui, il piatto più richiesto del Grand Restaurant Tv, nel menù tra le portate Canale 5/Maria De Filippi, chef pluristellata per gloria sua e del suo editore Piersilvio Berlusconi. Stavolta dalla cucina arrivano in tavola la donna del cuore e la squadra del cuore, due simboli nazionalpopolari, il tatuaggio incancellabile dell’orgoglio machista, zona bicipite, quello su o quello giù, fate voi. Nemmeno fossimo ancora ai tempi della pavoniana “Partita di pallone”, eppure ingredienti perfetti forever. Seguono altri ambitissimi gusti per ogni tipo di palato: seduzione, gattamortismo, glutei & tartarughe, taglia 4 coppa C, bacio sulle labbra e alla francese, strusciamenti, toccamenti, palpazioni, citazioni da bigliettino del biscotto della fortuna alla cassa del sushi, gelosia, lacrime, recriminazioni, urla, qualche accenno di menare mani o affilare unghie che viene subito stoppato (per fortuna) dal “maitre” Filippo Bisciglia, uno che fa il preoccupato (da copione o meno, poco importa) quando la coppia scoppia e sorride come un cherubino quando la coppia decide di restare tale, abile manovratore di scambi emotivi come nemmeno i vecchi ferrovieri coi binari.
Comunque, se volete sapere se i due, al secolo Antonio e Valentina (che, grazie ai puntatoni riassuntivi del “mese dopo” e alle particolareggiatissime cronache social, sappiamo già riappacificati e in cerca di outfit nuziale e sala per il banchetto: dunque sopravvissuti alle tentazioni), intoneranno nelle future domeniche sugli spalti del glorioso ex San Paolo “Napoli/Napoli/Napoli” dovete solo sintonizzarvi su Canale 5 lunedì 15 settembre per l’ultimo, quasi autunnale capitolo – conclusivo, finalmente, una volta per tutte – della 13ª edizione di “Temptation”, quella che in estate ha fatto sfracelli d’ascolto, punte di 39 per cento di share e di quasi 4 milioni e mezzo di teste annuenti o dissenzienti davanti al teleschermo a seconda che si fosse d’accordo o in disaccordo con lui o con lei, i due fidanzati messi alla prova da bellone e belloni, l’uovo a 24 carati della aurea covata di Maria De Filippi perché oltre a “Temptation”, che in realtà è un format spagnolo, ci sono “Uomini e donne”, “C’è posta per te”, “Amici” e “Tu si que vales”. Uno squadrone della morte – per sottrazione di pubblico altrui – che fa sempre più paura ai concorrenti. Capitanato per l’appunto dall’ultima tentazione di Maria, come fu di Cristo quella per Scorsese, raccontata nel suo Vangelo, il sacro testo del defilippismo, lettura di massa da quando cadono le prime foglie ingiallite fino al solleone, l’arco di un’intera stagione tv, sparpagliato anche durante le ore del giorno, dal dating show delle anime in pena alla ricerca di quella gemella al caro diario quotidiano della giovanile accademia ballerin-canterina. Perché MDF, ormai basta la sigla, nell’empireo del palinsesto di Canale 5, è in cielo, in terra e in ogni luogo quasi che creda, come Woody Allen, che a qualcuno bisogna pur ispirarsi. Salgono gli ascolti e lievitano i fatturati di Fascino, la società creata da Maria con Maurizio Costanzo, adesso per metà sua e per metà Mediaset, che produce tutto questo ambaradan (nel 2024, ricavi balzati da 57 a 67 milioni di euro).
Il defilippismo non è solo un’abile e oramai affilatissima strategia di marketing televisivo, è un pensiero, una filosofia, una weltanschauung che ha dato un’accelerazione folle, una spinta parossistica, uno slancio dagli esiti inimmaginabili, ha tirato uno schiaffo più che impresso una svolta, al vetusto codice montessoriano televisivo che ingenuamente propugnava “il microfono è vostro” o “la trasmissione la fate voi” e invitava “aboccaperta” (aprì la strada il buon Funari) quelli abituati a stare al di là del mondo in pollici, a catapultarli protagonisti. Una tentazione ancora irresistibile, quella del vecchio quarto d’ora di popolarità, nonostante Maria dica che il suo compito è “destrutturare il canone”. Nella tv di Maria non c’è nemmeno più bisogno di una tribuna fai da te: lo Speaker’s Corner di Hyde Park, a “Temptation”, è un villaggetto turistico come tanti, affittato all’uopo dalla produzione, bastano il mare sullo sfondo, la sabbia umida della sera, un grande tronco come divano, quattro ceppi accesi, si chiama “il falò del confronto” e la dinamica dei sessi si gioca tutta lì. Certo, bisogna avere stomaci forti: si passa dalla fiction di serie B (“hai preso un bisturi e mi hai squarciato l’anima senza anestesia”) all’improperio diretto (“tu sei un porco! sei un maiale! mi fai schifo!”), dall’effetto lettino psicoterapeutico (“ho capito cose di me che prima non riuscivo a spiegarmi”) alla vecchia autocoscienza femminista (“il mio tutto sono io”). Regola prima del defilippismo, nonostante codici schiaffeggiati e canoni destrutturati, è che tutto resti comunque immutabile: io maschio, tu femmina, io Tarzan, tu Jane. Al limite, la fidanzata promette che non salirà mai più sullo sgabello per riuscire a capire, attraverso il vetro smerigliato sulla sommità della porta, con chi stia parlando o chattando il suo lui al telefonino nelle lunghe sedute sul wc. E capirai, sono grandi passi nell’evoluzione antropologica, nell’abbattimento del patriarcato.
Non drammatizziamo, è soltanto tv ed è soltanto questione di corna, avrebbe aggiunto Truffaut. Ma Maria nega, nega e ancora nega: “Non è vero che sia l’isola delle corna, non me ne frega niente delle corna, a me interessa la dinamica della coppia”. Sì, ciaone. E ancora, contro i maldicenti: “Non si possono liquidare i successi pensando che stiano a guardarli solo i coglioni”. E qui forse non ha tutti i torti. Perché c’è un pubblico che dovrebbe inorridire davanti ai lui e alle lei più interessati ai mojito e al perizoma che ai massimi sistemi, c’è una platea di colti, di gente un po’ più avvertita, di istruzione medio-alta – ci assicurano i soloni del sondaggio – il cui dito dovrebbe istintivamente correre sul telecomando alla ricerca di un altro canale o del tasto off. E invece no. Si scopre che l’universo un po’ lubrico e un po’ pettegolo di Maria, il teatrino che gli autori allestiscono sulle ferite dei cuori altrui ha un “sommerso” impressionante, si parla di qualche milione di visitatori clandestini che nemmeno sotto tortura ammetterebbe di sapere cosa sia “l’esterna” di “Uomini e donne”, quella sorta di “liberi tutti” solo apparente in cui, sempre a favore di telecamera, il cacciatore e la preda (perché di questo si tratta) si incontrano fuori dallo studio e flirtano, sparlano gli altri pretendenti, cenano a lume di candela e poi l’abat-jour fa clic in contemporanea al pulsante azionato dal cameraman e buonanotte.
Eppure, questi portoghesi off-Auditel ne parlano l’indomani in ufficio e non è che i discorsi si allontanino dal senso, indiscreto e linguacciuto, dei due opinionisti di questo mercatino dei cuori solitari (giovani o anziani non importa, con un sovrappiù di patetico per i secondi, alcuni anche baldi ottuagenari), ovvero l’ex ballerino, ex coreografo, ex marito di Paola Barale ed ex chissà cos’altro Gianni Sperti con la sua zazzera plastificata alla Playmobil e la tracimante Tina Cipollari, una table habillé che caracolla alle due del pomeriggio come una milf al ballo delle debuttanti. Tutte marionette della ribalta defilippesca manovrate dalla cinica regista (il cinismo di Maria è essenziale all’impresa) di cui anche l’ingegnere biomedico o la capitana d’industria sanno citare l’ultima sortita di tediosa saggezza pur dichiarando pubblicamente un apatico disinteresse per non dire un aristocratico disprezzo. Insomma, l’uomo non è di legno, la carne è debole, resisto a tutto tranne che alle tentazioni anche se qui il serpente non è Satana, al massimo qualche rettile stampigliato tamarrescamente sulla pelle viva. Siamo tutti voyeur, siamo tutti potenziali adescatori o vittime di tentatori, ci incuriosisce ipotizzare cosa faremmo se ci trovassimo in quella situazione. Perfino i giovani se lo chiedono, se è vero come è vero che sui social l’ashtag “temptation”, bussola che orienta sull’isola degli aspiranti fedifraghi, ha un’utenza tra i 19 e i 34 anni che sfiora il 50 per cento (il 49,15 per cento per essere esatti con le percentuali).
Ma lasciando perdere dati e analisi socioantropologiche, uno dei capolavori del defilippismo, quello che più accomuna sotto la stessa stella i seguaci di Maria, è senz’altro “C’è posta per te”, un misto di carrambìsmo (nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si ricicla) e panni sporchi da lavare in tv. Qui davvero non c’è trippa per gatti o almeno non ce n’è a sufficienza per tutti quelli che si radunano famelici, la sera che precede il dì di festa, davanti al gattile del compianto tubo catodico in cerca di spettatori come fossero croccantini: nulla possono i vip e semivip reclutati per estenuanti balli dalla generalessa Carlucci o i divi redivivi, creduti ormai esuli o scomparsi, evocati come in una seduta spiritica dal tenente colonnello Conti perché scimmiottino, tali e quali, divi ancora in auge. Canale 5, in quel sabato sera di sospiri, lacrime e sorrisi se la pappa quasi tutta, quella trippa. Vuoi che sia l’agnizione di una figlia miracolosamente riapparsa secondo i canoni del vecchio romanzo d’appendice (“in ospedale mi avevano detto che era nata morta!”, farfuglia tremante, fazzoletto alla bocca, quasi svenendo tra le braccia di Maria, la mamma che s’è riappropriata dopo 40 anni della propria creatura); vuoi che siano mariti fedifraghi beccati dalla moglie che frugando tra le loro tasche ha trovato la canonica ricevuta fiscale dell’albergo, camera 2 pax, prima colazione compresa; vuoi ancora che siano prematuri orfani di padre che vogliono risarcire i sacrifici della mamma vedova con lettere strappacuore di ringraziamento (e lì bisogna davvero ascoltare, e apprezzare, nonostante gli accenti da moderno feuilleton, lo sforzo di Maria nel velare di melò il suo tono di solito roco, da ispezione in camerata) e regalandole l’abbraccio del suo beniamino televisivo, canoro, sportivo; vuoi che, con grande disdoro degli astanti, un papà e una mamma retrivi non accettino il figlio gay o la figlia lesbica di solito accompagnati da innamoratissimo/a (e imbarazzatissimo/a) partner. Il defilippismo tenta sempre la carta della riconciliazione, percorre la via lunga (ogni storia circa mezzora) e tortuosa che porti all’happy end, cerca una transizione purchessia, non sempre ci riesce e non è detto che la missione fallita sia anche un fallimento di pubblico gradimento, anzi. Il racconto stesso è ormai un must di drammaturgia televisiva: la cartella con gli appunti già mandati a memoria e sciorinati come le scene di un film, la narrazione scandita dal ticchettare delle décolleté tacco 12 che accompagnano il su e giù lungo lo studio, il tubino o il tailleur pantalone di firma, perfino la caramellina all’angolo della bocca che evita l’azzeramento della salivazione, ingentilisce il timbro nicotinico e affila anche la “erre” da sturmtruppen.
Ma la vera rivoluzione di MDF che, nonostante la laurea in giurisprudenza, le agiografie narrano studentessa svogliatissima, il suo 68 (inteso come Marcuse o Cohn-Bendit in sedicesimo) è “Amici” che a fine settembre festeggia le nozze d’argento e che in questi cinque lustri ha sfornato una non sempre indispensabile pletora di cantanti e danzatori. Qui il defilippismo si propone con faccia bifronte: da un lato l’austerità dell’accademia (altro che telefonini in classe di Valditara!), con Maria che fa un po’ da preside e un po’ da mamma, dall’altro la contestazione declinata nel banale qualunquismo democratico del popolo sovrano (i giovanissimi supporter in studio che urlano contro i giudizi dei prof e dei commissari esterni, da Malgioglio alla Clerici – il solito prezzemolo televisivo – e l’ambiguo meccanismo liberal del Televoto) e l’autosbertucciamento dei docenti stessi che spesso si mettono alla gogna con derisorie macchiette. Se “Temptation” è l’ultima spiaggia (per l’appunto) di 14 scappati di casa prima ancora di metterla su, se “Uomini e donne” è l’offerta all’incanto di chi è incapace di trovare nella vita reale qualcuno con cui condividere una pizza la sera, “Amici” è un po’ la scuola descolarizzata, l’autorevolezza educativa edulcorata (ed esautorata) nello show. La tv di Maria – tra tentati e tentatori, predati e predatori, docenti e discenti – non riproduce la realtà, né ha bisogno di sovraccaricarla di cattivo gusto, già carica per come ne è: la mima, semmai, ai fini di una nuova pedagogia. E in questa missione educativa – piaccia o non piaccia – De Filippi si arroga anche il diritto dell’ultima parola, al di sopra d’ogni verdetto: il suo “devi uscire dallo studio” è un memento perfino più apodittico di “pulvis es…”.