L'”effetto Epstein” travolge Peter Mandelson

Licenziato l’ambasciatore britannico negli Stati Uniti dopo le rilevazioni della sua amicizia con Epstein, nei primi anni Duemila. Gli scoop di Bloomberg, il famigerato libro di auguri, i rimorsi del diplomatico e una conferma: Epstein fa più male nel Regno Unito che in America (e dalle parti di Trump)

Il primo ministro britannico, Keir Starmer, ha rimosso il suo ambasciatore negli Stati Uniti, Peter Mandelson, per via dei suoi legami con Jeffrey Epstein, confermando ancora una volta un elemento dell’“effetto Epstein” sulle élite: fa più male nel Regno Unito che in America.

Poco prima del licenziamento, Piers Morgan ha scritto su X: secondo me Mandelson non arriva a sera. Mercoledì Bloomberg News, che ha trovato l’accesso ai file relativi a Epstein e che li sta pubblicando macinando scoop, aveva pubblicato i messaggi tra Mandelson ed Epstein che risalgono a quando il finanziere pedofilo è stato arrestato e condannato la prima volta, quindi più o meno ai primi anni Duemila, tra il 2005 e il 2010. Mandelson, che allora era commissario europeo per il Commercio, era molto preoccupato per Epstein, “furioso” per quel che gli stava accadendo e pronto a fornirgli aiuto legale tramite i suoi “contatti”. Mandelson consigliava a Epstein di reagire, di usare le tecniche dell’Arte della guerra di Sun Tzu (“ricordati: devi combattere quindi hai bisogno di strategia, strategia, strategia. Ricordati l’Arte della guerra”) e in un messaggio criptico e quindi chiacchieratissimo Epstein fa riferimento a un “mr big” e al “tuo uomo” che avrebbero dovuto aiutarlo: chi siano non si sa, ma le teorie abbondano.

Il legame stretto tra Mandelson Epstein era già emerso quando lunedì è stato reso pubblico il famigerato libro di auguri per il cinquantesimo compleanno del finanziere, quello del disegnino sconcio di Donald Trump. Nel suo augurio – che nel libro è corredato di foto – Mandelson definisce Epstein il suo “best pal”.

Mercoledì Mandelson si è fatto intervistare dal Sun e ha detto di avere molti rimorsi per il suo rapporto con Epstein e soprattutto per aver continuato a sostenerlo e aiutarlo anche quando avrebbe dovuto capire che stava finendo in una fossa di bugie e reati.

Non è bastato. Il ministero degli Esteri britannico ha detto di non essere mai stato a conoscenza di questa relazione stretta e che per questo l’incarico di Mandelson non poteva continuare. Starmer era stato cauto in questi giorni, come è sua consuetudine, ma anche perché la nomina di Mandelson era stata una sua scelta per ragioni di competenza – sembrava uno bravo a gestire Donald Trump e in effetti l’accordo sui dazi lo conferma – e perché questo governo laburista si vuole centrista e non ha più tabù nei confronti della stagione blairiana, di cui Mandelson è un esponente rilevante. Ora Starmer si trova senza ambasciatore e con una fronda interna – che sconfina dalle parti dell’ex leader laburista, il radicale ormai fuoriuscito dal partito Jeremy Corbyn – che potrebbe essere fastidiosa ora che si deve gestire anche l’elezione del viceleader del Labour, dopo le dimissioni di pochi giorni fa di Angela Rayner.

Intanto che si assesta l’ennesima tempesta, si contano i danni che sono paradossalmente più gravi tra gli inglesi e non tra gli americani, in particolare per Trump, che pure appare ben più compromesso con Epstein di quanto non lo sia Peter Mandelson.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d’amore – corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d’amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l’Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell’Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi

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