Perché la fusione tra Mps e Mediobanca viene vista male dai protagonisti della scalata

Siena non ha mai pensato veramente di raggiungere i due terzi del capitale di Mediobanca. Ora che la soglia potrebbe essere superata. è ovvio porsi qualche domanda sul suo futuro: “Spero che il cda faccia la scelta giusta” dice il professore Baglioni

C’è soddisfazione e orgoglio a Siena per la conquista di Mediobanca. Come, però, accade in alcune operazioni di mercato, si possono innescare meccanismi tali per cui il risultato finale superi le aspettative. “L’effetto trascinamento delle adesioni all’Ops di Mps ha fatto sì che, almeno sul piano tecnico, si stiano creando le condizioni per una fusione”.

“Una fusione, non so quanto desiderata – dice al Foglio Angelo Baglioni, professore di Finanza all’Università Cattolica e già membro del board dell’Eba, l’autorità bancaria europea – tra Mps e Mediobanca. Se questa prospettiva dovesse concretizzarsi, mi auguro che il marchio Mediobanca non scompaia perché sarebbe un esito paradossale dell’intervento dello stato nella ridefinizione degli assetti bancari”. C’è da dire la fusione non è mai stata un traguardo perseguito dal fronte dei grandi soci di Mps, Caltagirone e Milleri, e da Siena assicurano che “non è una priorità per l’ad Luigi Lovaglio”. Anche l’idea, come dice Baglioni, che lo stato entri “a gamba tesa” nel risiko bancario non ha mai previsto, almeno nelle intenzioni manifestate pubblicamente dal Mef, la creazione di un unico soggetto. Mediobanca con i suoi azionisti e il suo bagaglio di competenze controllata da Mps con una maggioranza forte: questa, piuttosto, è sempre stata e, secondo quanto risulta al Foglio, è ancora oggi la visione degli “scalatori”.

Ma a volte il diavolo sta nei dettagli. Succede che il livello di adesioni per rendere valida l’ops di Siena, previsto in maniera prudenziale da Lovaglio al 35 per cento (soglia minima), sia arrivato inaspettatamente quasi al 63 per cento nell’ultimo giorno dell’offerta. Sarà stato il rilancio cash di 90 centesimi a convincere tanti investitori oppure la consapevolezza che, come ha detto Sara Doris, quando ha consegnato il pacchetto di azioni della famiglia, “tanto l’operazione si fa”, poco importa ora. C’è uno scenario nuovo. Secondo gli analisti di Intesa Sanpaolo, già l’attuale quota di adesioni raggiunta sarebbe sufficiente a Mps per controllare l’assemblea straordinaria degli azionisti di Mediobanca “portando a una potenziale fusione tra le due società”. Gli stessi analisti prevedono che Siena supererà il 66,7 per cento in Piazzetta Cuccia dopo la riapertura del periodo di adesione (16-22 settembre) il che renderebbe l’operazione fattibile subito.

La verità è che Siena non ha mai pensato veramente di raggiungere i due terzi del capitale di Mediobanca, ma adesso che questa soglia potrebbe addirittura essere superata, è ovvio porsi qualche domanda sull’integrazione o sul delisting di Mediobanca: una società per restare quotata in Borsa deve avere almeno il 25 per cento di flottante, cioè di capitale sul mercato. “E’ il classico effetto palla di neve che si crea nelle scalate quando anche i ritardatari e i refrattari corrono a consegnare le azioni soprattutto quando c’è stato un rilancio cash sul prezzo – spiega Baglioni –. Ma quello che deve essere chiaro è che esistono due scenari diversi: uno in cui Mediobanca resta quotata e autonoma come banca e l’altro che venga assorbita da Mps, che vuol dire una fusione complicata da gestire ma soprattutto la scomparsa di un brand storico che, senza nulla togliere al lavoro di risanamento fatto da Lovaglio, vale di più di quello di Montepaschi su cui pesa l’eredità di un tracollo finanziario e di un salvataggio pubblico. Spero che il cda di Mps faccia la scelta giusta”.

E, però, qualche vantaggio pure ci sarebbe in una fusione e a metterlo in evidenza sono gli analisti di Equita, da sempre molto critici sulla scalata di Mps a Mediobanca. Equita spiega in un report che il superamento della soglia del 50 per cento (delle adesioni, ndr) consente a Mps di beneficiare dell’utilizzo accelerato delle Dta (tasse differite) per circa 500 milioni annui, contro i 200 milioni di cui usufruirebbe “standalone”. Gli stessi analisti mettono in evidenza che un’integrazione tra le due realtà genererebbe sinergie per 700 milioni e che è stato lo stesso Lovaglio ad affermarlo. Sembra difficile che i vertici di Mps si spingano fino a questo punto, ma, come conclude Baglioni, “sarebbe anche il caso che questo aspetto venisse chiarito alla luce del nuovo quadro che si sta delineando. Così come lo stato dovrebbe dire se intende uscire dal capitale di Mps rispettando gli impegni con l’Europa oppure restare per continuare a orientare il consolidamento bancario favorendo operazioni, come per Mps-Mediobanca, oppure ostacolandole, come nel caso di Unicredit e Banco Bpm o, ancora, lasciando fare come ora sembra fare adesso per Banco Bpm e Crédit Agricole”.

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