Le proteste in Nepal costringono il primo ministro alle dimissioni

Nel paese asiatico, uno dei più giovani del continente, la gente è scesa in piazza contro la crisi economica e la corruzione, non solo per la chiusura dei social da parte del primo ministro. La polizia fa oltre venti morti, e le proteste si spingono fino alla sede del Parlamento

Dopo l’Indonesia pochi giorni fa, in un altro paese asiatico la piazza si rivolta contro il governo, contro la povertà e la corruzione delle istituzioni, con modalità e conseguenze perfino più violente di quelle viste a Giacarta. In Nepal le proteste sono iniziate lunedì scorso, dopo il governo guidato dal primo ministro K.P. Sharma Oli la scorsa settimana aveva annunciato la chiusura di tutti i principali social network disponibili nel paese di circa 30 milioni di persone, da Facebook a Instagram, da YouTube a X. Ma sarebbe riduttivo e superficiale credere che la crisi nasca perché ai giovani viene all’improvviso vietato l’uso dei social network: dietro c’è molto di più, e riguarda il controllo sociale che il premier Oli voleva imporre sui cittadini, sempre più alla fame.

Lunedì le proteste si sono allargate contro l’intera amministrazione pubblica, sono diventate gigantesche, hanno coinvolto diverse città compresa la capitale Kathmandu, e per sedarle la polizia ha aperto il fuoco: 19 ragazzi sono morti. Subito dopo il governo ha revocato il divieto dei social network e ha imposto un coprifuoco alle 3 e mezzo del pomeriggio, ma non è servito a nulla. I manifestanti, soprattutto giovani, hanno continuato a presidiare i centri del potere nepalese, anche dopo che Oli ha annunciato le sue dimissioni.

La polizia ha di nuovo sparato contro i manifestanti che hanno fatto irruzione nel Parlamento e hanno dato fuoco ad alcune aree. Anche il Singha Durbar, il grande complesso urbano che ospita gli uffici governativi nepalesi, è stato preso d’assalto: all’interno si trova l’ufficio dell’ormai ex primo ministro. L’aeroporto internazionale Tribhuvan di Kathmandu è stato chiuso. Si tratta della peggiore crisi che il Nepal abbia affrontato da decenni, e che secondo i media locali illumina una volta per tutte la profonda instabilità politica ed economica del paese himalayano sin dall’abolizione della monarchia nel 2008. Una frustrazione manifestata soprattutto dalle generazioni più giovani. K. P. Sharma Oli, veterano della politica comunista nepalese, era già noto per il suo stile di governo autoritario e centralista.

Sin dal 2018 ha concentrato poteri e agenzie investigative sotto il suo controllo, favorendo fedelissimi, sciogliendo il Parlamento senza basi costituzionali e governando spesso a colpi di decreti – come nel caso dei divieto dei social network. Nazionalista e inflessibile, Oli incarna il volto duro di un Nepal politico instabile. Che cosa succederà domani al paese – che oscilla nell’influenza di India e Cina – è un mistero. (giu.pom)

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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