Yifan Wu, ventenne pianista di Shanghai, vince il prestigioso Concorso Busoni di Bolzano, imponendosi con una visione musicale matura e originale. La sua affermazione segna un nuovo punto di contatto tra la scuola pianistica cinese e la cultura musicale occidentale
Con la vittoria del ventenne Yifan Wu alla 65esima edizione del Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni di Bolzano, Shanghai diventa il centro pianistico mondiale, almeno per qualche ora. Sugli altri due gradini del podio, Sandro Nebieridze e Christos Fountos. Nel sestetto finale compare anche l’italiano Elia Cecino (segnatevelo: ne sentirete parlare). Il “Busoni” appartiene a quella ristretta cerchia di concorsi in cui il livello dei concorrenti è altissimo. I giudizi si misurano sulle sfumature e non è sempre facile decretare un vincitore, scelto tra ragazzi dotati della maturità tecnica e musicale di un cinquantenne.
L’esito del concorso ripropone il tema della scuola pianistica cinese. Nulla di nuovo all’orizzonte, sembrerebbe: da decenni, ormai, l’oriente ci sorprende con funamboli dalla tecnica sbalorditiva che, introdotti in patria allo strumento, poi forgiano il loro stile nei grandi centri europei o americani. Ma questa volta, qualcosa è cambiato. Wu – come riporta il sito della manifestazione – è nato a Shanghai dove si è formato e dove ancora oggi risiede. Non solo: prima del Busoni, è risultato vincitore del Singapore International Piano Competition e si è classificato quinto allo Shenzhen International Piano Concerto Competition. Un artista uscito “bello e fatto” dalla scuola cinese che non è solo la folla degli emuli di Lang Lang, ma molto di più. Le prove del Busoni (tutte pubblicate sul sito del concorso) hanno rivelato un pianista solido con un pensiero netto. “Sono un pensatore – dice dopo la proclamazione – ho delle idee che ritengo anche importanti. Ma serve tempo e maturità per portarle sul palco. […]. Per attrarre qualcuno, bisogna avere qualcosa da comunicare”.
In quest’ultima dichiarazione c’è la sintesi di quello che il pianista si è rivelato durante il concorso: un giovane che, pur distante da una certa cultura, da un “respiro occidentale”, è capace non solo di proporli in maniera coerente e corretta ma anche di rileggerli originalmente. Dunque, quella dichiarazione non conteneva solo buoni propositi: parlare è un conto, salire su un palco e mostrare tutto ciò che si è detto di fronte a una giuria, in un luogo dove ti giochi la carriera, è un’altra cosa. Vuol dire avere senso critico, libertà di osare e mettere il virtuosismo a servizio di un pensiero che può essere anche criticato, ma non si può certo definire assente.
Non manca qualche aspetto rivedibile in ciò che Wo ha mostrato a Bolzano: l’ampio uso del rubato nella “Kreisleriana” di Schumann ha evidenziato a tratti una frammentarietà che riguarda più le voci interne che l’agogica. Il suo Beethoven, un po’ troppo sgranato e con qualche inseguimento tra solista e orchestra, è senz’altro migliorabile. Ma la conduzione di un percorso timbrico in Schumann e la ricerca di un pianismo diverso nel quintetto di Šostakóvic indicano un musicista che non avrà bisogno di suonare con una mela o di indossare abiti scollati per attirare l’attenzione: userà il pensiero, quello carico di studi, domande, dubbi e tentativi. In musica, il Dragone non è mai stato così vicino all’occidente.