D’Alema in Cina? “Parabola triste”. Viaggio tra gli ex dalemiani

“La sua parabola è molto triste, tristissima, per chi l’ha conosciuto e stimato”, dice Fabrizio Rondolino, già consigliere dell’ex premier. Mentre altri storici collaboratori preferiscono evitare commenti. Intanto la destra attacca e chiede a Schlein di prendere posizione

Fabrizio Rondolino, che di Massimo D’Alema è stato consigliere durante l’ascesa a Palazzo Chigi, la dice così: “La sua parabola è molto triste, tristissima, per chi l’ha conosciuto e stimato”. Piero Fassino, oggi senatore dem, preferirebbe non commentare e si limita a dire: “Ovviamente non condivido nulla di quella parata”. Le posizioni dell’ex sindaco di Torino sulla politica internazionale, d’altra parte, sono note. Molti altri non rispondono nemmeno al telefono. Chi lo fa, dice soltanto: “Alla prossima”.

Gli ex dalemiani, quelli che hanno percorso a vario titolo un pezzo di strada con il primo presidente del Consiglio post comunista, rispondono così. Meglio evitare giudizi o dichiarazioni sulla partecipazione di D’Alema alla sfilata di Xi, sulle peripezie internazionali di un leader che è ormai da tempo lontano dai Palazzi dal potere ma che resta una figura centrale nella storia recente della sinistra italiana. Oltre a conservare un’eredità istituzionale, da ex premier, ruolo dal quale si schierò a fianco degli Stati Uniti ai tempi del Kosovo. Per questo la sua presenza in Cina non poteva passare inosservata. A Pechino, con il leader cinese Xi, c’erano anche Vladimir Putin, Kim Jong Un e Lukashenka: la sfilata celebrava gli 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, certamente. Ma sopratutto mostrava plasticamente l’asse degli autocrati, un’alternativa all’occidente, tra armi e vessilli.

Un messaggio e una prova di forza, a cui D’Alema ha deciso di presenziare, concedendo anche un’intervista alla tv cinese. “Viviamo un momento difficile nelle relazioni internazionali, ma confido che da Pechino venga un messaggio per la pace, la cooperazione e per il ritorno a uno spirito d’amicizia tra i popoli per porre fine alle guerre che stanno insanguinando il mondo in modo tragico”, sono state le parole dell’ex presidente del Consiglio, rimbalzate subito in Italia, provocando polemiche e discussioni.

Scontata la reazione della destra, da FdI è arrivata la richiesta a Schlein di condannare e prendere le distanze. Carlo Calenda si è indignato. Tutto secondo copione. Mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani si è detto “stupefatto dal fatto che un ex presidente del Consiglio, che si dice europeista e che è legato a forze politiche che parlano ogni giorno di Europa, poi si schieri dalla parte di coloro che sono contro l’Ue. Mi lascia molto perplesso, poi ognuno nella vita fa le scelte che vuole”. E D’Alema ha scelto da tempo, nel senso che con la Cina ha una certa familiarità, così come le sue posizioni sulla crisi delle democrazie occidentali, sulla necessità di un nuovo ordine mondiale, e multipolare, non sono notizia di oggi. Hanno trovato spazio anche sulla rivista della fondazione che dirige, Italiani Europei. A marzo del 2024 – anche allora aveva fatto scalpore – l’ex premier partecipò al Forum della democrazia, organizzato del Partito comunista cinese. In quella sede ribadì gli stessi concetti. I suoi detrattori non persero l’occasione per accusarlo di avere interessi economici a Pechino. Un addebito che puntualmente ritorna. E non è l’unico: la sua legittima attività tra consulenze, conferenze e lobbying, è finita spesso al centro del dibattito politico.

D’Alema è stato anche coinvolto in un’inchiesta – e archiviato -­ per un presunto ruolo di mediazione in una trattativa sulla vendita di aerei militari e sommergibili al governo colombiano. Una “parabola tristissima”, per riprendere la definizione di Rondolino, che non tutti tra i suoi vecchi compagni di viaggio hanno capito. O forse hanno compreso benissimo, e per questo glissano: “D’Alema? Buon lavoro”, ci risponde con un sorriso il direttore del Riformista Claudio Velardi, a capo dello staff dell’ex premier e tra i suoi consiglieri ai tempi di Palazzo Chigi. Nicola Latorre, altro storico collaboratore di D’Alema, fa altrettanto e declina gentilmente. Ma la lista dei “No, grazie” potrebbe essere più lunga. E non per caso.

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