Due caratteri di destra, uno mite, l’altro duro, due visioni diverse dell’azienda. Il racconto del duello fra ad Rai e direttore del Tg1 che sta portando all’uscita di Chiocci dalla Rai
Questa non è una notizia. E’ solo una storia. La più banale. E’ la storia di una rivalità, quella fra Gian Marco Chiocci e Giampaolo Rossi, e di come finirà. Finirà con il trionfo del più forte, di chi ha il coraggio di andare “fino al fondo di se stesso”. Vincerà Chiocci, il direttore del Tg1, se lo merita, probabile portavoce di Giorgia Meloni, possibile candidato con FdI alle prossime elezioni. Un giorno Chiocci avrà tutto. Gli basterà? Raccontano, ma la fonte è bassissima, miserabile, che già l’estate scorsa Meloni lo avesse convocato e chiesto: “Vuoi fare tu l’ad Rai al posto di Rossi?”. Venne scelto Rossi, ma aveva vinto l’altro. Era passata l’idea che Chiocci fosse il duro e l’altro solo un debole. Da allora il “debole” imparò a leggere sui quotidiani cosa pensava Meloni della Rai. Una mattina si alzò e scoprì che la premier avrebbe voluto “privatizzare la Rai”, informazione mai smentita (la Rai è ancora pubblica). Anche allora Rossi rimase zitto.
Non si erano mai incontrati prima di quel giorno. Sono passati più di due anni. Li presentò Meloni. E fu una faccenda spiccia. Meloni disse a Rossi, allora dg Rai, che voleva Chiocci, il direttore dell’Adnkronos, come direttore del Tg1, perché di “lui mi fido”, e Rossi le rispose che certo, si poteva fare, ma con un contratto a tempo determinato. E’ stato il suo primo errore. Non aveva capito che la risposta giusta da dare, con Chiocci, con la destra di Chiocci, è la seguente: “In Rai non si può fare, ma una soluzione per te, caro Gian Marco, la troverò” perché a Chiocci queste cose non si fanno, perché, come ripete Chiocci, “se io ti posso fare male, prima o poi ti farò male. Io so come farlo”. Lo sa. Chiocci conosce il gioco della penna e del poker. Conosce la forza virtuosa del bluff e della notizia. Rossi conosce le leggi della tv e tutti i libri di Jünger. Conosce l’educazione antica del “Padre nostro”, il segno della croce prima di spezzare il pane. Uno, Chiocci, affitta una villa sull’Appia per festeggiare il suo compleanno, con Conte, Salvini, Piantedosi, l’altro, Rossi (che era il grande assente di quel compleanno) quando va a cena, se proprio deve andare a cena, sceglie il tavolo più nascosto. Uno ha scoperto il fenomeno tv Stefano De Martino, che ha salvato la Rai, l’altro ha scoperto la casa di Montecarlo di Gianfranco Fini. Basta solo decidere: cosa è meglio, il sorriso o il dolore? Chiocci vuole fare sapere a tutti che è “pronto a tutto” per difendersi, mentre all’altro, a Rossi, si può fare di tutto, tanto, si dice, “è solo un pensatore, ottimo per fare il ministro della Cultura”. Lo si può insultare. Non è debole. E’ solo mite. E ci ha fatto l’abitudine. E’ da almeno tre anni che Rossi prende sputi e calci perché Rossi, questo superbo esercizio, a volte necessario, sapere fare male, purtroppo, non lo ha mai imparato. Da ad Rai non ha mai rilasciato una vera intervista ma ha autorizzato quella di Chiocci al Messaggero, quella dove il direttore del Tg1 si definiva “un marziano in Rai”, quella dove il duro faceva intendere che un’intera Rai sabotasse il suo Tg1. Anche allora, Rossi rimase zitto. Quando al mite gli dicevano “guarda che non sarai tu l’ad della Rai, guarda che Meloni alla fine ti scaricherà, vedrai”, Rossi si limitava a rispondere: “So sopportare. Io so sopportare. Vedrete”. Non si detestavano, no. All’inizio, no. Era ancora presto. Non si detestano, no. Neppure oggi. Le forme impongono la dissimulazione. Rossi direbbe, come dice adesso, che Meloni aveva da sempre pensato a Chiocci come suo portavoce (ed è vero) e Chiocci risponde che di fronte a una chiamata così importante è difficile resistere. Non si detestano, no. La storia è più sottile. Chiocci si insedia al Tg1 e inizia a pensare di Rossi che con quella testa, per carità, colta, non si fa un buon servizio alla causa, a Meloni, al governo; Rossi inizia a credere, ma non lo dice, che con i metodi di Chiocci, per carità, affascinanti, ruvidi, si possa governare, tutt’al più, un giornale, ma non la Rai. Iniziarono a parlarsi attraverso mail. Chiocci chiede a Rossi perché il suo Tg1 non abbia un giusto traino, perché il grande sport, il tennis, sia trasmesso su Rai 2, e non su Rai 1, Rossi gli risponde, e tutti in copia, con Angelo Mellone, direttore del day time, che Rai 2 era da sempre la rete dello sport. Vince Chiocci. Ma non basta. Il duro non sopporta che il suo tg possa essere superato dal Tg 5. Il duro non può tollerare, si fa così nella vita, che non gli venga data dalla Rai (di destra) l’attenzione che merita, al suo Tg, lui che è vicino al Sole, lui che è nel cuore di Meloni. Quando il mite sprofondava, per il caso Scurati, e venivano convocate riunioni d’urgenza (ospiti Mellone, Rossi, Nicola Rao, Chiocci) quando Meloni, come nella Cina di Mao, li rieducava, a turno, dicono che Meloni indicasse lui, Chiocci: “Ecco come bisognerebbe fare. Come fa lui”. Come il duro. Iniziò a circolare in Rai che il mite, Rossi, neppure rispondesse al telefono, che il mite avesse consegnato pieni poteri a Monica Maggioni. Ma il mite doveva pensare a evacuare la Rai da Viale Mazzini. La storia banale allora si arricchì. Si movimentò il quadro. Le mail fra Chiocci e Rossi cominciarono a farsi sempre più aspre. In mezzo c’è il ritorno in Italia di Stefania Battistini, l’inviata del Tg1, autrice dello scoop in Russia, rientrata su consiglio della Farnesina ma anche di Maggioni. Chiocci chiede se sia vero che Maggioni abbia poteri di nomina sugli inviati da spedire all’estero. Il mite si difende con la complessità, con le regole di un’azienda da oltre 13 mila dipendenti. Ma a Chiocci non si risponde in questo modo. Può fare male. Lui parla con Meloni, la premier con cui ha concordato tutte le sue ultime uscite, dopo la notizia del Foglio, il suo prossimo passaggio a Palazzo Chigi. Nel 2024 il mite, Rossi, commette un altro errore e lo ripete quest’anno. Non si premura di allontanare dalla fascia preserale estiva di Rai 1, Pino Insegno, anche perché Insegno è il dazio della destra. Il debole pensa che non sia un problema, che ci sta andare sotto il Tg5, può capitare, una volta, tanto poi si recupera, ma il duro pretende che quella fascia debba servire come vassoio del suo Tg, un tg strepitoso, pieno di notizie e scoop. E’ certo che queste siano le vere dimissioni di Chiocci, le più sofferte, come almeno altre tre. Quelle erano buone per i deboli.