Il direttore esecutivo dell’Aie invoca un ritorno agli investimenti nel gas e nel petrolio per garantire la sicurezza dei rifornimenti energetici mondiali. E rivaluta anche il nucleare
L’ Agenzia internazionale dell’energia (Aie) sbanda in curva, soprattutto quando viene investita da folate di vento impreviste. Nata nel 1974, dopo il primo choc petrolifero con i paesi Opec decisi a imporre il loro potere sul mercato, aveva fra i suoi compiti principalmente quello di garantire la sicurezza energetica dei paesi dell’area Ocse. A questo si è attenuta per lungo tempo, ma recentemente ha allargato i suoi compiti fornendo analisi sulla transizione energetica e manifestando una certa simpatia anche per politiche estreme di riduzione delle emissioni. Ha fatto molto scalpore per esempio il suo rapporto sulla strada che porta alla stabilizzazione delle emissioni (Nze) al 2050, rapporto in cui venivano indicate politiche molto decise e chiaramente irrealizzabili. Fra di esse, lo stop immediato agli investimenti nei combustibili fossili. Ma le cose non sono andate come previsto, se non in piccola parte. Le auto elettriche sono molto meno di quelle ipotizzate, le rinnovabili sono cresciute ma continuano a essere aggiuntive e non sostitutive della produzione termoelettrica con fossili. Questo, giusto per fare due esempi. Ma anche in politica le cose sono cambiate. Al posto di Biden c’è Trump, non proprio un amico della transizione, e al posto della Merkel c’è Merz, che ha fatto del pragmatismo la sua cifra, mettendo di fatto in stand-by il Green Deal europeo.
Ecco allora Fatih Birol, il direttore esecutivo dell’Aie, invocare un ritorno agli investimenti nel gas e nel petrolio per garantire la sicurezza dei rifornimenti energetici mondiali. Non c’è stato bisogno di citare anche il carbone, perché quello continua a crescere per conto suo. Inoltre è tornato a parlare di rilancio del nucleare, come l’ Agenzia già faceva negli anni 70. Ma alla base di tutto questo c’è un fatto. Una buona parte del mondo ha bisogno di aumentare i suoi consumi di energia come presupposto della crescita economica e l’uscita dalla povertà. Come ha fatto la Cina, che in 20 anni ha quadruplicato i suoi consumi di energia. E senza fonti fossili, obiettivi anche più modesti di quello cinese sono irraggiungibili.