Il tentativo di mediazione americana apre scenari pericolosi per l’Europa, lasciata senza reali garanzie. Mosca non arretra di un passo e ai partner occidentali resta solo l’onere di evitare la disfatta
Ormai ci stiamo assuefacendo. La politica internazionale agli occhi di Trump è solo l’occasione per imbastire una serie di sceneggiate, con contenuti tragici, ma irrilevanti per i protagonisti. In qualche caso si arriva a nomination, salvo poi ricorrere ai recuperi. Così si è imbastito in fretta e furia un bilaterale tra il Potus e lo Zar, un incontro che in un mondo razionale, avrebbe richiesto mesi di preparazione, con sherpa che avrebbero faticosamente negoziato il linguaggio di un comunicato finale che avrebbe reso edotto il grande pubblico dei risultati raggiunti. Invece l’unica cosa che ne è scaturita è l’ennesimo chicken out di Trump che è arrivato proclamando la richiesta ultimativa di un cessate il fuoco e se ne è andato dicendo che invece bisognava concludere al più presto una pace definitiva, negoziando sotto le bombe. Così sono stati chiamati a raccolta i maggiori leader europei, ma solo per renderli edotti della piega che stanno prendendo gli avvenimenti e per raccoglierne la disponibilità a una qualche forma di garanzia che possa in qualche modo convincere Zelensky ad accettare i termini di quella che sarebbe sostanzialmente una resa.
Ma il problema delle garanzie appare difficilmente superabile. Partiamo dai contenuti dell’art. 5 del Trattato del Nord Atlantico secondo il quale, in caso di aggressione a uno degli stati membri, gli altri sono tenuti a prestare assistenza, secondo quanto ciascuno ritiene necessario (as it deems necessary): in sostanza può bastare anche una pacca sulla spalla. Ma come potrebbe concretizzarsi nello specifico scenario ucraino una garanzia fornita non dalla Nato, ma da alcuni stati europei, ancorché con una imprecisata assistenza da parte degli americani? Forse un contingente militare composito pronto a intervenire nel caso in cui Mosca rompa gli indugi e riprenda l’offensiva? E dove sarebbe schierato? In Polonia e Romania (lasciamo perdere Ungheria e Slovacchia) in prossimità del confine? Chi assicurerebbe il comando e controllo? L’Hexagone Balard? Northwood? Centocelle? Appare ovvio che per avere un minimo di credibilità una forza militare dovrebbe invece già essere schierata in territorio ucraino, ipotesi già respinta con forza dalla Russia a ogni livello, sia politico sia comunicativo.
Bisogna anche che ci sia piena consapevolezza di che cosa può comportare una garanzia comunque formulata e implementata. La storia ci può aiutare: il 25 agosto del 1939 Inghilterra e Polonia firmarono l’Anglo-Polish Mutual Assistance Agreement, che può essere considerato l’esatto equivalente per quei tempi di una garanzia simile a quella dell’art. 5 della Nato. Ma due giorni prima, il 23 agosto, era stato firmato a Mosca tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica il cosiddetto Patto Molotov-von Ribbentrop e il primo di settembre del 1939 la Germania invadeva la Polonia. Il problema dunque si sposta su quali siano le reali intenzioni di Putin, ma su questo non ci sono dubbi, vista la chiarezza delle dichiarazioni fin da prima dell’invasione: il Cremlino vuole un’Ucraina modellata secondo le linee della Bielorussia di Lukashenka, ma non solo. Il 17 dicembre del 2021, mentre era in atto lo schieramento delle forze che avrebbero invaso l’Ucraina, Mosca presentò agli Usa e alla Nato due proposte parallele di accordo, in base alle quali, tra l’altro, veniva chiesto il ritiro di tutte le forze straniere dai territori dei nuovi membri dell’Alleanza, a partire dalla Polonia e dai Paesi Baltici. Accettare questa richiesta metterebbe in una difficile situazione questi ultimi, che sono collegati con il resto del territorio dei paesi Nato tramite il varco di Suwalki, un corridoio largo circa 70 chilometri, stretto fra l’exclave russa di Kaliningrad e il confine bielorusso. Bloccando questo varco si impedirebbe l’afflusso di rinforzi via terra a Lituania, Lettonia e Estonia, tre repubbliche che facevano parte dell’Unione Sovietica.
Considerando l’insieme di questi fatti oggettivi, il timore di ulteriori spinte offensive da parte russa appare giustificato e atteggiamenti caratterizzati da acquiescenza come quelli che sembrano avere ispirato Trump nel suo incontro con Putin non possono non apparire preoccupanti. I “volenterosi” a Washington hanno avuto modo di recepire gli intendimenti di Trump, ansioso di chiudere a qualsiasi costo, altrui, una trattativa i cui termini Mosca non ha mutato di un ette. Gli europei ne prendano consapevolezza e si preparino ad agire da soli, maturando una coesione politica ormai assolutamente indispensabile.