“L’inchiesta sull’urbanistica rappresenta il requiem della presunzione di innocenza”, dice l’avvocato Riboldi, segretario della Camera penale di Milano. “Non è accettabile che una persona venga a sapere di essere indagata dai giornali. Il Riesame ha confermato che gli arresti dopo un anno e mezzo di indagine non erano necessari”
“L’inchiesta milanese sull’urbanistica rappresenta il requiem della presunzione di innocenza. Se di fronte a provvedimenti come quelli del tribunale del Riesame non si riesce più neanche a fermarsi un momento per considerare che forse l’impostazione della procura può essere sbagliata, ma anzi si mettono in piazza altre chat che proprio quel giorno vengono depositate dai pm, significa che c’è una disaffezione totale verso quel principio costituzionale”. A parlare al Foglio è l’avvocato Federico Riboldi, segretario della Camera penale di Milano, che nei giorni scorsi ha preso posizione con un comunicato stampa contro il grande circo mediatico-giudiziario sviluppatosi attorno all’indagine sull’urbanistica. Nel comunicato si sottolinea innanzitutto come molti degli indagati, compreso il sindaco milanese Beppe Sala, abbiano appreso di essere sotto indagine o addirittura di essere destinatari di una richiesta di arresto ai domiciliari o in carcere leggendo i giornali, ancor prima che i provvedimenti venissero notificati ai legali. “Una cosa inaccettabile”, dice Riboldi.
“Non è accettabile che una persona venga a sapere di essere indagata dai giornali”, dice il segretario della Camera penale milanese. Anche perché si dimenticano quali sono gli effetti di questo trattamento mediatico sulle persone coinvolte nelle indagini. “Lo denunciamo da tempo. Tutti dovrebbero essere consapevoli che se si rappresenta la posizione dell’accusa come verità, nel momento in cui l’impostazione della procura viene sconfessata, dal Riesame o nel processo, ormai sono stati prodotti danni spesso irreparabili sulle persone, sulle aziende e sugli altri soggetti indirettamente coinvolti. La stampa ha degli obblighi deontologici molto precisi che dovrebbe rispettare”.
“Dovrebbe essere chiaro ai giornalisti in primo luogo e all’opinione pubblica in generale – aggiunge Riboldi – che durante le indagini ciò che emerge è la posizione di una parte, cioè l’accusa. Quando c’è un provvedimento di un giudice terzo, come quello del Riesame, che mette in discussione l’impostazione accusatoria si dovrebbe dare atto di questo, e non continuare a rimanere piegati supinamente sulle posizioni dei pm”.
Nel caso dell’indagine sull’urbanistica, i pubblici ministeri non si pongono neanche problemi a rilasciare interviste ai giornali. “Penso che i magistrati titolari del fascicolo farebbero meglio a non rilasciare dichiarazioni in una fase così delicata come quella delle indagini. E’ la stessa normativa vigente peraltro a prevederlo”, nota Riboldi.
Intanto, dopo la grancassa mediatica, ben cinque ordinanze di arresto su sei (quella nei confronti di Catella sarà valutata nelle prossime ore) sono state annullate dal Riesame. “Le misure cautelari personali, soprattutto quelle detentive, rappresentano l’extrema ratio. Dopo un anno e mezzo di indagine, ben conosciuta da tutti quanti, in cui ci sono state anche interlocuzioni tra il comune e la procura, immaginare che ci fosse la necessità di arrestare queste persone mi ha sorpreso. Il Riesame ha confermato questa mia impressione. Evidentemente il principio di extrema ratio non è stato rispettato”.
La procura ha detto che farà ricorso in Cassazione. “Magari prima di annunciare ricorsi sarebbe meglio aspettare di leggere le motivazioni del tribunale del Riesame. Invece c’è una sorta di riflesso pavloviano: si è così convinti delle proprie tesi che anche di fronte a una loro smentita non si prende neanche in considerazione l’ipotesi di rivederle. L’indagine andrà avanti, si arriverà eventualmente a processo e si vedrà se quelle tesi sono fondate o meno. Ma non si può risolvere tutto nella fase delle indagini con i provvedimenti cautelari”, conclude Riboldi.