Lo scrittore John Boyne, omosessuale dichiarato e militante, è stato escluso dal premio Polari dedicato alla letteratura Lgbtq+, per un’uscita in cui si definiva un femminista che non equipara i diritti delle transessuali a quelli delle donne. L’effetto domino che è seguito ha fatto saltare l’intera edizione
Trovo molto istruttiva la storia dell’esclusione di John Boyne dal premio letterario Polari, che ha portato alla cancellazione del premio stesso. Boyne è celebre come autore de “Il bambino con il pigiama a righe” e gli è costata cara un’uscita in cui si definiva “Terf”, ovvero un femminista che non equipara i diritti delle transessuali a quelli delle donne. Pur essendo omosessuale dichiarato e militante, la sua partecipazione è stata ritenuta incoerente con i valori di un premio dedicato alla letteratura LGBTQ+. Non solo: sedici autori finalisti su ventiquattro – più una manciata di giurati – si sono ritirati dal premio per protestare contro la presenza di Boyne nella longlist, così che gli organizzatori hanno cancellato tutto promettendo, cito testualmente, “una maggiore rappresentanza di transessuali e non binari in giuria”.
Ammetto candidamente che dell’argomento in questione non capisco un bel nulla, quindi seguo la diatriba con la stessa partecipazione che dedicherei ad appassionate discussioni sulla fisica quantistica o sul computo di quanti angeli possano ballare il tip tap sulla capocchia di uno spillo. Mi limito a notare questo. Anni fa il caso di Boyne, che di certo non può essere sospettato di omofobia, avrebbe confermato il celebre assioma di Pietro Nenni, per cui arriva sempre qualcuno più puro di te che ti epura. Ma l’autodistruzione del premio Polari dimostra come ormai viviamo nell’epoca in cui, se per caso hai a che fare con un impuro, ti epuri da solo.