No, “pippobaudismo” non è tra le nuove parole del Cambridge Dictionary

La lingua dei contemporanei è generata dalle parole sentite su TikTok. Bisogna rassegnarsi all’esistenza di formule come skibidi, delulu e tradwife e al fatto che, forse, i nostri sono davvero i tempi di massima cuccagna

Che abbiamo fatto di male per abitare in questi tempi linguistici penosi? Siamo buoni con una sola cosa, le etichette. Un quisque de social fa una fesseria? Siamo pronti col catalogo. I Lari ci guardano con riprovazione. Dopo Shakespeare e Dante, il futuro è diventato questo, una comunicazione frenetica e niente da dirsi. Ne avrei io, di sostantivi nuovi da inaugurare. Pippobaudismo. Ci pensavo guardando il telegiornale: se c’è un uomo che merita di diventare nome comune, etichetta generica, è Baudo. Padre fondatore della telecomunicazione moderna, è archetipo totale e già personaggio storico riconosciuto. Pippobaudismo: quel tipo di propensione allo studio e al severo perfezionismo, inteso come unico modo (parecchio sacrificante) che porta a vedere, col tempo, qualche buon risultato. Sudare e poi eccellere, chissà se piacerà o sembrerà fascista pure quello.



Invece ci tocca il Cambridge Dictionary e il successo degli anni Duemila, quello garantito sui social a un’unica, facile condizione: che la spari abbastanza grossa. Dicevamo, lo stellato dizionario proprio ieri, metà agosto, decide l’inserimento in catalogo delle nuove parole ufficiali. La lingua dei contemporanei – bisogna rassegnarsi – è generata dalle scemità sentite su TikTok. Ci toccano skibidi, delulu e tradwife. Segnate sul quaderno perché sono parole che ci serviranno, non si può non sapere, non si può restare indietro. Assai curioso un dettaglio unificante: c’è una parola delle tre che vuol dire qualcosa di buono? Nessuna. Skibidi è la formula magica e senza senso, frequente come narcisista nelle conversazioni di pettegolezzo amoroso, serve a dare enfasi al nulla: “What the skibidi are you doing?” chiede il giovane alla vita, che risponde sempre skibidi. Viene da Skibidi Toilet, un video virale animato. Non c’è trama, solo teste umane che sbucano dal gabinetto. La parola può significare cool, pessimo o semplicemente nulla. E’ una specie di interiezione, serve a rafforzare un’emozione immediata ed effimera. A voler essere inutilmente scientifici, è l’epitome della comunicazione veloce a cui siamo abituati, un’esclamazione nel vuoto. Facciamole il test che si riserva alle cose della vita per sapere se vale la pena tenersele: è bella? E’ utile? No.


Delulu (parola numero 2) viene dal K-pop, la scopiazzata aggiornata asiatica di quel che erano Take That e Spice Girls negli anni 90, canzoncine da telefilm del doposcuola, identici deliri delle dodicenni ma artisti con meno carattere. Delulu era un fan che voleva sedurre l’idolo attraverso la forza della mente, armato di un desiderio intensissimo. Tu mi ami perché io ci credo. E’ l’esercito di Candide che ci possiamo permettere. Oggi delulu si affaccia ai dizionari del mondo e diventa il simbolo dell’illusione più bella che avevamo: sognare che la realtà sia secondaria rispetto ai desideri. Credere nel falso: cosa c’è di più felice, per un cuore? Nulla. La generazione etichetta ne ha inventata e messa a segno ancora un’altra: tradwife. Sarebbe il vecchio conservatorismo familistico e amorale. Sono le ragazze di sette secoli fa, contente di pulire casa e accudire figli e mariti. Imperversano i filmini sui social: far la domestica con lo straccio in mano è una grande aspirazione di lifestyle. Qua si torna alla servitù gentile e al vecchio maschio comandante sul divano. Sono davvero tempi di massima cuccagna, aveva ragione Calvino. Se siamo qui a fare le cappelle nuove nel santuario delle parole inutili, vuol dire che davvero abbiamo vite migliori di chiunque sia esistito prima. Forse il problema generale è esattamente quello, che per vedere un problema vero dobbiamo accendere la televisione.

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