Mike, diceva Umberto Eco, era l’uomo medio, Baudo era l’incarnazione dell’idea democristiana dell’Italia: merito e moderazione, come la sua carriera e i suoi programmi, rassicuranti come una messa domenicale ma senza la noia della predica
Come Umberto Eco aveva celebrato l’ordinarietà di Mike Bongiorno nella sua celebre fenomenologia, è tempo di glorificare la democristianità di Pippo Baudo. Se Bongiorno era l’italiano medio elevato a paradigma, Baudo era l’incarnazione di un’idea democristiana dell’Italia. L’epifania vivente dello scudo crociato che ha dominato la televisione con la grazia imperturbabile di chi sa di rappresentare non solo sé stesso, ma un’intera visione del mondo. Nell’aprile del 1960, un burocrate della Rai lo schedava così: “Baudo Giuseppe di anni 24. Fantasista. Buona presenza. Buon video. Discreto nel canto. Suona discretamente il pianoforte. N.B.: può essere utilizzato per programmi minori”. Quanta democristianità in quel “discreto” ripetuto due volte! La nomenclatura che liquida con sufficienza burocratica il più grande conduttore della Tv prende una toppa ma trova infondo l’aggettivo giusto: tutta la vita di Baudo sarà poi una clamorosa rivincita di quella nota. Fino all’idea suprema, quasi wagneriana: morire di sabato sera, in prima serata, stravolgendo il palinsesto.
Baudo incarnava l’idea di successo che la Dc aveva sempre predicato. L’ascesa sociale attraverso il merito temperato dalla moderazione. Il talento che non diventa tracotanza e vanità oziosa. La scalata da Militello in Val di Catania a Viale Mazzini: un Italian dream democristiano. Il siciliano di provincia che fa il provino e ce la fa, da solo, nel paese delle raccomandazioni. Le sue “Domenica In” i suoi “Fantastico” i suoi Sanremo erano cattedrali democristiane dell’intrattenimento: tutto doveva essere perfettamente bilanciato, equidistante, rassicurante, chiaro. Le canzoni rivoluzionarie venivano addomesticate dalla scenografia, i cantanti trasgressivi ammorbiditi dalle luci soffuse dell’Ariston. Baudo era rassicurante come una messa domenicale ma senza la noia della predica – e col piglio maniacale di uno Stanley Kubrick del varietà che controllava tutto e mandava in scena una macchina perfetta. Come talent scout, è stato il Quincy Jones della Tv di Stato. L’elenco delle scoperte è noto, ma va sottolineato il metodo: Baudo non scopriva i talenti per caso, li fiutava, li coltivava con la pazienza del giardiniere, li lanciava col tempismo del politico navigato. Ancora una volta: democristiano.
Apparteneva organicamente al servizio pubblico anche quando lavorava a Mediaset, perché incarnava l’idea democristiana di televisione: pedagogica senza essere cattedratica, popolare senza essere populista, moderna senza essere rivoluzionaria. “Progresso senza avventure” – il claim della Balena Bianca trasformato in credo estetico. Grande amico di Ciriaco De Mita, ricordava che suo padre aveva studiato con Mario Scelba e al liceo di don Luigi Sturzo. “Essere democristiani non significa appartenere a un partito. È un modo di intendere la vita”. E lo Scelba del “culturame” avrà in Pippo Baudo un valido erede. La Dc non aveva artisti, scrittori, registi, grandi intellettuali – era anzi il bersaglio del mondo culturale. Ma aveva Pippo Baudo, vate di una controgemonia nazionalpopolare che puntava tutto sulla Rai. Mentre i comunisti avevano la cultura alta einaudiana, il cinema civile, gli scrittori impegnati, i democristiani tenevano il punto sul sabato sera e tanto bastava: avevano capito che era lì, nel salotto di casa, che si svolgeva la vera battaglia culturale. Baudo rassicurava gli italiani mentre esplodevano le contestazioni, le rivoluzioni sessuali, i terrorismi, e poi le tangenti. Era il grande neutralizzatore degli eccessi e degli estremi. L’alchimista della moderazione: tutto ciò che toccava diventava digeribile.
Pochi mesi prima di Tangentopoli interviene a un congresso Dc a Brescia. Parla di tracollo imminente. Lancia l’allarme: “È necessaria un’autoriforma dello scudo crociato, bisogna rimboccarsi le maniche, inventarsi qualcosa di nuovo. Solo un grande partito può mediare gli interessi più diversi. Le piccole formazioni mi sembrano infarcite di demagogia populista”. In un mondo parallelo, sarebbe stato il leader del grande partito moderato che ci manca. Finché durerà la Tv, ovunque ci sarà qualcuno che cerca di piacere a tutti senza scontentare nessuno, l’ombra di Pippo Baudo sarà ancora lì. Imperturbabile. Maestosa. Democristiana.