La guerra continua. Il cazzotto di Putin in guanto di velluto

Trump è uscito con le ossa rotte dal summit costruito con il massimo di dilettantismo personalistico. L’ipotesi che potesse rovesciare il tavolo e far sentire a Putin il peso di una deterrenza vera è tramontata per ora tra le nevi di un ex possedimento zarista

Se c’è una logica nel vertice in Alaska, mi pare questa. Putin può essere considerato con realismo invece che con moralismo. Le cose non cambiano. Perché nell’una e nell’altra sfera interpretativa è pessimo. Ha detto e messo nero su bianco quel che voleva fare negli anni: ripristinare il potere catastroficamente perduto dell’Unione sovietica, dunque cambiare l’ordine mondiale uscito dalla fine dell’impero come esito della Guerra fredda, obiettivo che entro certi limiti è condiviso dalla Cina politico-mercantile e da molti altri continenti e subcontinenti sui quali la presa del vecchio ordine non funziona più dai tempi di Clinton e poi di Obama (l’ultimo che cercò di metterci una pezza fu Bush Jr. con i neocon). Su questo ha impostato una guerra ultradecennale, sboccata nell’aggressione all’Ucraina e all’Europa, che dura dispiegata da quattro anni, costruendo egemonia interna economia e mito politico in funzione di una chiara vittoria, il suo lascito per così dire.

Essendo il più forte, usa la forza senza complessi, e della forza è anche un servitore devoto. In questa scelta, travestita da operazione speciale denazificazione di Kyiv e sicurezza per la seconda potenza nucleare minacciata dalla Nato, usa Trump con cinismo e astuzia kagebista per ottenere la caduta di Zelensky e il recupero politico alla sua sfera di influenza di un paese che ha cercato di uscire dalla sudditanza granderussa e avvicinarsi all’Europa e all’occidente. Per questo dosa con accuratezza diplomazia e missili e minacce, e ottiene tutto lo spazio, immenso, che Trump è disposto a lasciargli, come si è visto a Anchorage.

Quello di Putin è un narcisismo da professionista, innestato su un moto storico di ribaltamento degli equilibri che ha un suo fondamento politico. Quello del dirimpettaio arancione, uscito con le ossa rotte dal summit costruito con il massimo di dilettantismo personalistico, è il narcisismo risentito e frustrato di un uomo e di un paese sempre più potente e sempre più allo sbando. Giudicarne gli atti e le promesse con realismo è quasi impossibile, psicologia delle masse in rivolta e moralismo sono strumenti più acconci. L’oligarchia russa è un establishment con una sua linea e ragione sufficiente. Il movimento Maga, che ha distrutto l’establishment americano, sia quello repubblicano sia quello democratico, colpendo al cuore cultura politica ed élite, vive di altro che di politica mondiale, è disinteressato alla questione regionale ucraina degli europei, prospera nell’ego autoritario e demagogico di un capo erratico travestito da profeta isolazionista dell’età dell’oro. Questo Putin lo sa bene e per questo ha sferrato a Trump un cazzotto in guanto di velluto. Molti credevano che alla fine un accordo e una linea di compromesso fossero nei fatti, anzi che erano già stati concordati e che sarebbero stati celebrati in Alaska, con il successivo coronamento del sogno grottesco del Nobel per la pace e una relativa stabilizzazione fondata sul compromesso del congelamento sulla linea del fronte del Donbas capace di premiare le follie vanitose della campagna elettorale di Trump, la fine della guerra in 24 ore, e sono stati smentiti platealmente. Putin venne, vide e vinse. La guerra continua, Nato Europa e occidente sono divisi, lui ha ottime possibilità di schiodare Zelensky e l’Ucraina dalle loro pretese di indipendenza e modificare con la forza la carta geografica e politica dell’Europa. L’inevitabilità non è un affare così complicato, la coalizione Biden non ce l’ha fatta, ha tentennato, ha oscillato, ha allungato il brodo, e si è piegata alla fine a un paese tragicamente incafonito e inciprignito. L’ipotesi che Trump, se non altro per la faccia, che per lui è una cosa che conta molto, potesse rovesciare il tavolo e far sentire a Putin il peso di una deterrenza vera è tramontata per ora tra le nevi di un ex possedimento zarista.

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  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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