Un paese bloccato, anche dallo strapotere delle procure. L’urbanistica a Milano, i poteri speciali a Roma Capitale, lo scudo penale per i medici: storie legate al bisogno di un’alternativa all’immobilismo, trasformato nell’unica forma di legalità consentita
Ci sono notizie di cronaca che vivono per conto proprio e ci sono notizie di cronaca che fanno parte di un unico disegno. Le notizie di cronaca che vivono per conto proprio sono quelle che riguardano capitoli che si aprono e si chiudono come libri sotto l’ombrellone. Le notizie di cronaca che fanno parte di un unico disegno sono quelle che riguardano saghe che sai quando iniziano e non sai quando finiscono. Di questo secondo genere di notizie fa parte una serie di storie che apparentemente sembrerebbero essere molto distanti l’una dall’altra. Storie come queste. Storie come l’esportazione del modello Giubileo. Storie come l’inchiesta sull’urbanistica a Milano. Storie come lo scudo penale per i medici. Storie come i poteri speciali a Roma Capitale. Storie come l’ampliamento delle famose zone economiche speciali. Storie come la legge che vuole limitare l’iscrizione automatica degli agenti delle forze dell’ordine nel registro degli indagati. La saga che abbiamo provato a inquadrare con queste storie, e con questi spunti, è una saga che ci permette di illuminare un problema eterno dell’Italia, che periodicamente si riaffaccia con forza di fronte agli sguardi inermi della politica.
La saga è quella dell’Italia che ha capito che per far funzionare il paese bisogna rendere ordinario lo straordinario, non riuscendo a cambiare l’ordinario, ed è una saga che illumina un piccolo dramma italiano: un sistema burocratico, giudiziario, amministrativo, che non funziona, che non gira, che va a rilento, e che costringe chi vuole avere un po’ di efficienza, e un po’ di certezza del diritto, o a interpretare in modo originale alcune leggi (Milano), o lavorare in deroga alle leggi attuali (modello Giubileo), o a creare scudi in grado di proteggere categorie assediate (medici, forze dell’ordine) o a dribblare la burocrazia ingovernabile a colpi di poteri straordinari (Roma Capitale) o di zone economiche speciali (Zes) o di autonomie differenziate (chissà se mai ci saranno).
La diagnosi è evidente. La normalità non funziona più, ma nessuno vuole davvero riformarla, la normalità, perché riformarla significa scontentare qualcuno e quindi perdere consenso, potere, rendite. E così, di conseguenza, la politica procede per eccezioni, deroghe, scorciatoie autorizzate, legittimando l’emergenza come unica forma di efficienza. Agire in deroga, come si dice, è una scorciatoia, lo sappiamo, ma è anche la conseguenza di un paese in cui il governo dei giudici, come direbbe Carl Friedrich, ha moltiplicato a dismisura il potere creativo dell’interpretazione giuridica, dando alle burocrazie che amministrano il paese un potere per l’appunto spropositato, e ogni volta che un governo cerca un modo per cambiare le norme che riguardano la burocrazia, il tentativo di paralizzare quelle azioni, da parte dei magistrati, spesso finisce in buca.
Alla base di tutto, ovviamente, c’è il modo in cui vengono disegnate e scritte le leggi: se queste non fissano binari precisi, ognuno degli operatori dell’amministrazione e della giustizia può interpretarle a modo suo. Agire in deroga è una scorciatoia, è vero, ma agire per parti separate è diventato lo scudo con cui l’Italia cerca di proteggere sé stessa dalle esondazioni delle procure e dalle burocrazie asfissianti per proteggersi da alcune patologie, la discrezionalità della magistratura e l’inefficienza della Pubblica amministrazione, che non potranno essere guarite con un tocco di bacchetta magica.
La politica cerca di ritagliarsi piccoli spazi protetti, naturalmente, e sarebbe un sogno se anche la costruzione del Ponte potesse rientrare tra le eccezioni alla regola, ma la classe politica non ha né forza, né capacità, né tempo per ridisegnare ambiti normativi in modo stabile e coerente. E il risultato è la presenza di un’Italia bloccata, ostaggio di una democrazia in deroga, dove l’efficienza è possibile solo fuori dal sistema ordinario, dove non si cambiano le regole ma al massimo le si sospendono, e dove l’unica forma di legalità consentita, deroghe a parte, è l’immobilismo.
Le responsabilità sono molte, ovviamente, ma una delle più importanti è la presenza di una giustizia che si considera e si muove come un potere a sé stante, a volte più forte persino della politica, che critica ogni tentativo di responsabilizzarla – pensate alla responsabilità civile – e che può agire in modo indisturbato, senza che vi sia qualcuno in grado di sanzionarla davvero quando sbaglia, grazie alla presenza dell’unico scudo che non indigna il paese: quello che consente alla magistratura di essere giudicata solo da sé stessa e che consente ai magistrati di non aver bisogno di una deroga per poter esercitare i pieni poteri. L’Italia in deroga ha permesso al paese di avere alternative all’immobilismo. Ma fino a quando l’opinione pubblica continuerà a non ribellarsi alla trasformazione dell’immobilismo nell’unica forma di legalità consentita, l’Italia continuerà a essere un paese in cui gli unici autorizzati ad agire in modo straordinario nell’ordinarietà saranno coloro che con le loro esondazioni popolano la repubblica più pericolosa che c’è: quella fondata sulla discrezionalità dei pm e sullo strapotere delle procure.