L’ex presidente del Consiglio: “Paradossalmente, nell’incontro di venerdì, cosa dirà Putin è più prevedibile di quello che farà Trump”
Analisti e diplomatici in questi giorni fanno fatica a prevedere l’imprevedibile, ovvero i risultati dell’atteso incontro in Alaska, venerdì prossimo, fra il capo della Casa Bianca Donald Trump e il presidente della Federazione russa Vladimir Putin – il primo con un presidente americano in carica sin dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. “Il fatto è che paradossalmente, nell’incontro di venerdì, cosa dirà Putin è più prevedibile di quello che farà Trump”, dice al Foglio Matteo Renzi, leader di Italia Viva che da presidente del Consiglio ha incontrato il capo del Cremlino molte volte, secondo, per puro dato statistico, soltanto a Silvio Berlusconi. Renzi risponde al Foglio da qualche giorno di vacanza con la famiglia, e non in compagnia di Barack Obama come ha scritto ieri l’ex consigliere “greco” di Trump, George Papadopoulos – un finto scoop da tradurre facilmente come fake news, ma che dimostra la volontà di alcuni personaggi vicini al mondo Maga di continuare ad annacquare la verità sul cosiddetto “Russiagate”.
“Anche se non ho mai fatto un bilaterale con Trump, ne ho fatti diversi con Putin”, dice Renzi. “E a giudicare da come lavora Trump, l’elemento di imprevedibilità non è dato dal fatto che Putin possa arrivare a un nuovo accordo con l’America, ma è dove metterà il punto finale il capo della Casa Bianca. Questo è totalmente imprevedibile”. Ma c’è di più, perché la storia insegna che sedersi al tavolo con Vladimir Putin, intavolare un negoziato con lui, a maggior ragione dopo l’inizio della sua guerra contro l’Ucraina, è tra le prove più difficili per un leader. Il dialogo è sempre un oscillare fra prove di forza e insincera affabilità: “Sin dalla prima telefonata che ho fatto con lui mi aspettavo un tono di voce squillante, assertivo. E invece usa sempre questo tono di voce basso, quasi monocorde”, quello che serve a costruire l’immagine di un leader “pacato e ragionevole. E da qui si intuisce anche la sua formazione nell’intelligence”, dice Renzi.
Con tattiche di studio dell’interlocutore molto simili a quelle che si usano nello spionaggio, ma anche tentativi di mostrarsi alla mano, cordiali: “Una volta avevamo un incontro in Italia, e lui arrivò in ritardo di mezz’ora – pochissimo, visti i suoi standard – e mi disse: ‘Scusami, sono stato a cena con Berlusconi e abbiamo fatto le sei del mattino, dovresti venire anche tu la prossima volta’, e io gli risposi: no, grazie, siete troppo giovani per me”. Quei momenti di apparente leggerezza di Putin fanno sempre parte di una tattica dialettica: “Pure il suo metodo di costruire il discorso”, dice Renzi, “sempre con una, due o tre premesse e poi con una lineare conclusione, fa capire che è sempre estremamente attento all’articolazione del ragionamento”. Trump è l’esatto opposto, se non dominato ma sicuramente molto influenzato dalle emozioni, come ha scritto nella sua autobiografia l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel.
Un mese dopo gli accordi di Minsk II, quelli firmati nel febbraio del 2015 e mediati per l’Ue dall’allora presidente francese François Hollande e dalla cancelliera Merkel, Renzi fu tra i primi leader europei a tornare a Mosca. E il governo italiano, durante il semestre di presidenza europea, si inserì con una proposta all’Ucraina – allora guidata da Petro Poroshenko – e alla Russia di Putin, quella del “modello altoatesino”, che riconosceva “l’identità territoriale ucraina” per le regioni di Donetsk e Luhansk ma con un’autonomia russofona prima di tutto fiscale. All’epoca Putin si disse favorevole, ma Poroshenko si oppose. Solo che rispetto a quell’idea di dieci anni fa il mondo è cambiato. E Renzi ribadisce che “quella proposta non toglie nulla al fatto che noi riteniamo Putin completamente responsabile della guerra iniziata nel febbraio del 2022”. La differenza, semmai, è che “l’Italia di allora aveva delle idee, faceva davvero politica estera. Organizzavamo gli incontri, come quello di Milano del 2014, non perché avevamo bisogno di una foto opportunity”. E sebbene tutti studiano i dossier e si preparano per i bilaterali, dice Renzi – “non credere alle balle di quelli che arrivano impreparati” – oggi “non c’è una proposta dell’Italia. La differenza con i nostri tempi, con quelli di Prodi e di Berlusconi, che nella sua eccentricità aveva delle proposte, è che Meloni al massimo dice venite a parlare da me a Roma o in Vaticano. E’ una grandissima organizzatrice di eventi, ma non c’è uno straccio di proposta. E i dossier lei li studia, ma il problema riguarda anche alcune persone della sua squadra, messe lì in nome dell’amichettismo, che combinano danni che non ha mai fatto nessuno. Come stare al telefono per mezz’ora con un comico russo credendo che sia un leader africano”.
L’ex presidente francese Hollande ieri al Financial Times ha detto che “la tecnica di Putin è quella di mentire in modo professionale”: “Sono testimone del fatto che Hollande ha sempre ritenuto Putin uno inaffidabile, me lo diceva esplicitamente”. Una frustrazione e una consapevolezza che aveva anche l’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe, un altro leader che ha fatto parte della politica estera renziana, assassinato nel 2022 (Renzi è stato l’unico politico italiano a partecipare al suo funerale). Per anni Abe ha negoziato con Putin un accordo sui cosiddetti Territori del nord che non ha mai raggiunto una conclusione: “Abe era terrorizzato dalla Cina e arrabbiato con la Russia, perché il nord per loro era un problema, vedeva crescente l’espansione cinese e soffriva molto quando Putin e Xi Jinping si mettevano d’accordo”. Ma quella dell’estremo oriente russo è un’altra partita per Putin. “Il nostro tentativo di dieci anni fa”, non solo come Italia ma come Europa, era quello “di creare un accordo vantaggioso” con delle garanzie di sicurezza per tutti. E il leader di Italia Viva cita il famoso articolo dell’ex segretario di stato americano Henry Kissinger, che poco più di un mese dopo l’invasione della Crimea da parte della Russia, undici anni fa, scrisse sul Washington Post: “L’occidente deve comprendere che, per la Russia, l’Ucraina non potrà mai essere solo un paese straniero” e che “la politica estera è l’arte di stabilire delle priorità”. “Ecco, noi avevamo una visione kissingeriana. Oggi il vero problema è che ammesso che venga fatto un accordo in Alaska, temo che non sarà vantaggioso per l’Ucraina”.