Il tavolo al ministero delle Imprese e del Made in Italy non sblocca la situazione dell’acciaieria, appesa a un piano di rilancio (e di decarbonizzazione) ancora in alto mare. Tutto rimandato a dopo l’estate. Le ricadute sulle regionali, tra Decaro, Emiliano e Schlein
Taranto. Alla fine nessun accordo di programma, ma solo la firma di un verbale che rinvia tutto a metà settembre, dopo l’esito della gara per la vendita dell’ex Ilva. È finito così l’incontro di oggi tra Adolfo Urso e gli enti locali. Tutto era iniziato a fine giugno, quando il ministro delle Imprese e del Made in Italy disse di aver liberato l’agenda per due giorni per una trattativa a oltranza con gli enti locali che, se non avessero firmato immediatamente un accordo, avrebbero portato alla chiusura di Ilva entro luglio. Da allora non è mai stato firmato nulla, e Ilva non è ancora chiusa, se pur in stato comatoso. Al tavolo di oggi si è presentato solo il presidente della Puglia Michele Emiliano, da tempo in sintonia col ministro meloniano. Mentre il sindaco di Taranto Piero Bitetti e il presidente della provincia Gianfranco Palmisano si sono collegati da remoto perché non intenzionati a firmare un accordo senza valore. Il tavolo si è chiuso con un nulla di fatto, e la firma rimandata a metà settembre. Smentendo nei fatti l’urgenza dettata da Urso all’inizio di questa storia. Così come l’utilità stessa dell’accordo, ora che la gara è stata già aggiornata secondo i nuovi criteri per la decarbonizzazione (o almeno così dice il Mimit, non possiamo verificarlo dato che il bando non è pubblico). “Mi appello alla responsabilità di ciascuno nel comprendere la necessità di dare oggi un segnale positivo agli investitori che devono valutare se fare un’offerta e che tipo di offerta per l’ex Ilva – ha detto ieri il ministro – Per questo ci auguriamo che l’intesa sia sottoscritta”. Se quindi fino ad oggi la firma di questo accordo era necessaria per l’Autorizzazione Ambientale, poi per superare il giudizio imminente del tribunale di Milano, poi per la gara, ora diventa necessaria per non far sfuggire gli investitori. Se quindi la gara dovesse andare deserta (chi metterebbe mai 10 miliardi di euro per un piano deciso dal governo a Taranto), la colpa sarà fatta ricadere sul sindaco. Mentre Emiliano, dissociandosi dal suo pupillo, e rimangiandosi tutta la linea politica “no ilva” portata avanti per dieci anni (“è una mitragliatrice che spara sulle persone, se potessi la chiuderei”) oggi considera la chiusura del siderurgico “un disastro”, l’acciaio strategico, e, lontano dai tempi in cui impugnava tutti i decreti di Renzi e Calenda, non ricorrerà contro l’Autorizzazione appena rilasciato dal governo Meloni che proroga il funzionamento degli altoforni per altri 12 anni. Come mai questa giravolta improvvisa?
C’è una velina venuta fuori ieri pomeriggio direttamente dal tavolo ministeriale, che può spiegarlo: “Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano sarebbe pronto a sottoscrivere l’intesa, anche a nome del Partito Democratico”. Facendo finta di dimenticarci che Csm e Corte Costituzionale gli hanno impedito di fare vita di partito finché è pm, la velina mandata da Palazzo Piacentini racconta una vicenda che ormai è più politica che industriale. Si è creato un asse strategico su più fronti tra Conte, Decaro e Renzi da un lato, e Schlein ed Emiliano dall’altro. Lo scacchiere è politico, parte dalla Puglia ma arriva fino a Palazzo Chigi. Tutto nasce dalle regionali. Decaro ha detto che accetta di candidarsi governatore a patto che Emiliano non si candidi nelle liste per il consiglio regionale. L’ex delfino vuole “uccidere il padre”, o almeno non rischiare di ritrovarsi sul palco con uno che racconta di averlo affidato alla sorella del capo clan.
Al suo fianco si è schierato Conte, lontano da Emiliano dopo la Tangentopoli regionale. Ovviamente non poteva mancare il sostengo di Renzi, da sempre distante dal governatore pm per le sue crociate nimby e populiste. Mentre Elly Schlein, per paura che Decaro possa soffiarle il Nazareno, nonostante la promessa di combattere i cacicchi locali, difende la candidatura di Emiliano. In questa diatriba è finita Ilva. Decaro la settimana scorsa ha interrogato la commissione europea insieme ai 5 stelle, sull’inquinamento dello stabilimento. Mentre Shlein, abbandonando il fronte ambientalista, due giorni fa in una call con Antonio Misiani, Emiliano e i rappresentanti locali del Pd, ha chiesto di firmare l’accordo con Urso. Senza neppure chiedere, come invece ha fatto Andrea Orlando, l’unica cosa che ne attesta la fattibilità: quanti soldi servono, e chi li mette. A loro basta dire che hanno firmato la decarbonizzazione. Tanto la rogna poi sarà di Decaro. Dalla Regione, dal Nazareno, o da Chigi.