Le prove con cui Israele ha provato a dimostrare l’appartenenza di al Sharif a Hamas, e a giustificarne così l’omicidio, sono insufficienti e di dubbia veridicità. Ancor peggio è la dicitura “assieme a dei colleghi”, come se si trattasse di un accidente del destino, di un massacro che vale la candela. È invece una strage aggravata
Cari voi, vorrei dissentire del tutto dall’editoriale, firmato “Di redazione”, del giornale di martedì, intitolato “Giornalista o terrorista? Il caso di Anas al Sharif”. Vi si sosteneva quello che ricapitolava il sommario: “La morte del reporter di Al Jazeera a Gaza dimostra quanto è esteso l’universo di Hamas”. Il richiamo alle prove fornite dall’esercito israeliano dava per certa l’appartenenza di al Sharif a Hamas e un suo ruolo terroristico attivo. Altri osservatori, compresi alcuni governi europei, hanno dubitato risolutamente della verità o della sufficienza delle prove.
La inaudita cifra totale dei giornalisti uccisi a Gaza, 192 (anche quando se ne ritenesse qualcuno uno “pseudogiornalista”), era ieri scrupolosamente accompagnata dalla specificazione: “tutti palestinesi”, piuttosto superflua dal momento che inconcepibilmente Israele ha vietato l’ingresso a Gaza a giornalisti internazionali, con la giustificazione derisoria della loro salvaguardia fisica, come se i giornalisti in zona di guerra non rischiassero la pelle e non fossero responsabili della propria pelle. C’è un altro dettaglio seccante: il Qatar in cui si svolgono reputati e festeggiati negoziati internazionali è anche lo stato proprietario di Al Jazeera, e il datore di lavoro dei giornalisti dati per terroristi.
Ho letto tutto quello che ho trovato, e quello che ho trovato non ha intaccato la mia convinzione che occorra dubitare mille volte mille di qualunque informazione arrivi dai fronti di Gaza, di Cisgiordania e di Israele. Ma vorrei obiettare anche a chi ritenga esaurienti le informazioni ufficiali israeliane su al Sharif, e però ha scritto che “è stato ucciso durante un bombardamento israeliano assieme a dei colleghi”. Siccome è stato ucciso deliberatamente, con un bombardamento andato a segno, che ha ammazzato con lui altri quattro fra reporter e operatori di al Jazeera e un quinto giornalista, l’uccisione di cinque giornalisti non può passare per un inevitabile o necessario danno collaterale, un massacro che vale la candela, o per un accidente del destino, bensì come una strage aggravata. Alla quale non si addice nemmeno la micidiale fraseologia collaterale: “assieme a dei colleghi”.