L’islam, Israele e l’occidente

Il filosofo Sam Harris sulla guerra di Gaza e il destino delle società aperte

Da quando ho pubblicato il mio primo libro, ‘The End of Faith’, ho costantemente criticato ogni forma di settarismo religioso. Tuttavia, dopo il 7 ottobre, il mio pensiero su Israele è cambiato, in risposta al diluvio di antisemitismo, negazionismo dell’Olocausto e perversità morale che ha travolto Internet e ha iniziato a insinuarsi in ogni angolo della cultura”. Così scrive il filosofo americano Sam Harris nella sua popolare newsletter su Substack. “Pur non avendo alcun legame religioso con l’ebraismo e nutrendo molti dubbi sull’attuale governo di Israele, la risposta globale al 7 ottobre mi ha reso sionista. L’antisemitismo è un odio così singolare, l’Olocausto un male così singolare e la sua negazione un insulto così singolare, che difendere Israele sarebbe una necessità morale anche se non ci fossero altre motivazioni. Ma, naturalmente, c’è una preoccupazione più generale che ha sempre guidato il mio pensiero sul conflitto in medio oriente: l’onnipresente minaccia del jihadismo. I jihadisti non fanno mistero delle loro ambizioni, per quanto abominevoli. La maggior parte di loro è ingenua e loquace come una reginetta di bellezza appena incoronata. Proprio come non ci possono essere dubbi sul fatto che la bella ragazza del Tennessee voglia una carriera nei media, una famiglia numerosa e la pace sulla terra, qualsiasi fanatico musulmano che affermi di ‘amare la morte più di quanto gli ebrei (o gli infedeli o gli americani) amino la vita’ dovrebbe essere preso in parola. Il filosofo Karl Popper definì una ‘società aperta’ come una società i cui abitanti sono liberi di pensare, parlare e agire secondo la propria coscienza, e dove le istituzioni sono strutturate per consentire la critica e la correzione pacifica degli errori. Un tale ordine politico è in contrasto con le varie alternative tribali, autoritarie o totalitarie, che Popper descrisse come ‘chiuse’. Comprendere le differenze tra questi regimi e rimanere attenti ai modi in cui le società aperte possono fallire è uno dei compiti più importanti del presente. L’islam è oggi la seconda religione più diffusa sulla terra, con oltre il 25 per cento dell’umanità tra i suoi fedeli. Sfortunatamente molte delle sue dottrine sono in conflitto con i valori fondamentali di qualsiasi società aperta. Come tutte le religioni, l’islam assume forme diverse nelle diverse culture e molti musulmani vivono pacificamente in democrazie laiche. Ma ovunque i princìpi fondamentali della fede siano pienamente abbracciati, le norme laiche sono sotto pressione, soprattutto per quanto riguarda la libertà di parola, l’uguaglianza di genere e la libertà di coscienza. Questa non è solo una preoccupazione teorica. Tra i primi 50 paesi classificati da Freedom House per diritti politici e libertà civili, nessuno ha una popolazione musulmana superiore al 10 per cento, a parte Cipro. Al contrario, la maggior parte delle nazioni in fondo alla classifica sono stati a maggioranza musulmana.

Nel XIV secolo, un liberale laico avrebbe trovato la vita intollerabile ovunque sotto la cristianità; oggi, lo stesso si può dire per chiunque cerchi una vita di libertà ovunque prevalga l’islam. Il fatto che una simile affermazione venga considerata ‘islamofoba’ nella maggior parte degli ambienti liberali occidentali è sintomatico di un’illusione diffusa, accuratamente coltivata dagli apologeti dell’islam. Questa incapacità (o rifiuto) di distinguere tra una critica di idee pericolose e un odio per le persone è di per sé una capitolazione alle forze della teocrazia.

La diffusione dell’islam rappresenta una sfida profonda per le società aperte. La verità è che le società aperte non possono tollerare la diffusione del fanatismo islamico a tempo indeterminato. In questo contesto, considero Israele uno stato di prima linea nel più ampio conflitto tra società aperte e islam militante. Qualunque siano i suoi difetti – e ce ne sono molti – Israele rimane una democrazia pluralista, dedita a valori che i suoi nemici disprezzano: libertà di parola, diritti delle donne e Lgbt e progresso scientifico.


L’asimmetria qui non è casuale: i critici di Israele, in particolare quelli dell’estrema sinistra, non riescono a cogliere la differenza tra una democrazia imperfetta e un culto della morte. Naturalmente, non riescono nemmeno a riconoscere le implicazioni di tale cecità morale per le società in cui vivono. E’ qui che l’ipocrisia progressista e la tendenza al suicidio diventano indistinguibili. L’attuale guerra a Gaza è uno degli episodi più tragici della più ampia lotta tra jihadismo e società aperte, e la sofferenza dei palestinesi è orribile. Ma la causa immediata di questa sofferenza non sono solo le bombe israeliane, ma il nichilismo millenarista di Hamas.

La guerra potrebbe finire domani se Hamas rilasciasse gli ostaggi rimasti e cessasse di attaccare Israele. Questo fatto viene costantemente ignorato da coloro che incolpano Israele per la devastazione di Gaza. Anche in mezzo a tutta questa morte e miseria, Hamas continua a ottenere sondaggi più alti dei suoi rivali, soprattutto in Cisgiordania. Nonostante ciò che potremmo voler credere, non esiste una netta linea di demarcazione tra un’organizzazione jihadista come Hamas e la società palestinese. Stiamo parlando di una cultura che insegna ai suoi figli a odiare gli ebrei, a combattere il jihad e ad aspirare al martirio da decenni (e lo fanno ancora). Il mio sostegno a Israele non è tribale; è etico. E ci vorrebbe una trasformazione radicale della società israeliana – un’esplosione di fanatismo religioso, un diffuso sostegno ai crimini di guerra e altri segnali della sua trasformazione in un culto della morte – per rendermi indifferente tra le due parti. Se una tale trasformazione si verificasse, la ragione principale per sostenere Israele verrebbe meno.

Sebbene Israele abbia i suoi fanatici all’estrema destra, questi non rappresentano la società israeliana nemmeno lontanamente nella misura in cui Hamas e altri gruppi jihadisti rappresentano la volontà del popolo palestinese. Credo che la seguente affermazione rimanga vera: se i palestinesi deponessero le armi, ci sarebbe la pace nella regione. Se gli israeliani deponessero le armi, ci sarebbe un genocidio. Questa asimmetria contiene tutte le informazioni necessarie per discernere la superiorità morale in medio oriente”.

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