L’ora delle eroine. Il gran successo del romanzo neostorico scritto da donne

Un genere che rilegge la Storia da un punto di vista ideologico e soggettivo, colmando le sue mancanze con immaginazione e militanza. Così si risponde al silenzio che ha a lungo occultato metà del cielo.

La Storia dovrebbe essere un’amaca per dondolarsi e un gioco a cui giocare, come fanno i gatti. Artigliala, masticala, risistemala e all’ora di andare a letto è ancora una palla di spago pieno di nodi”, scrive Jeanette Winterson. Mentre cerchiamo di dimenticare i romanzi distopici su futuri inquietanti e catastrofici, visto che sono già tra noi, si sta affermando nelle scelte editoriali italiane una fiction intrecciata alla storia, con una caratteristica comune: è firmata per lo più da donne. Questa tipologia di romanzo storico al femminile – che sale subito nelle classifiche dei libri più venduti, accanto agli eterni romance – ha dietro il fertile retroterra delle scuole di scrittura, del lavoro degli editor, e poi a seguire l’enfatizzazione dei media, i sequel di podcast e serie. La scelta di inventare personaggi che interpretano il diffuso femminismo pop dei nostri giorni porta perfino a titoli per cui basta la semplice funzione, che se vogliamo essere cattivi ha qualche assonanza con i film degli anni Cinquanta: La portalettere, La governante, La levatrice… Spesso sono romanzi di esordio, non necessariamente di giovanissime, con una scaletta narrativa che si ripete: protagoniste una, due, tre donne per coprire tutte le generazioni, una voglia di riscatto e quindi tonnellate di coraggio e dedizione. Sono però diversi dalla saga tradizionale: l’ultima forse, e forse anche antesignana del nuovo corso, è stata I leoni di Sicilia di Stefania Auci sulla dinastia dei Florio, subito diventata fiction televisiva, con una “personaggia” un po’ nascosta ma molto determinata, non a caso milanese d’importazione. D’altra parte, il personaggio femminile forte è un topos oggi inevitabile, a costo anche di autentici falsi: nella recente riedizione televisiva de Il gattopardo la figura di Concetta, per Tomasi di Lampedusa e Visconti umile e obbediente sia pur delusa ragazza da marito, diventa l’erede di Donnafugata, una gattoparda che a cavallo e con piglio da padrona controlla le sue terre. Fine del film.

Se guardiamo al lancio di questi recenti prodotti editoriali il messaggio porta subito al legame con la storia – anzi, con la Storia. La fascetta della terza edizione di La grande sete di Erica Cassano recita: “La lotta di una donna per il suo futuro. Una Napoli affascinante tra occupazione e liberazione. Il grande esordio di una giovane scrittrice”. Qui la protagonista Anna vive le Quattro giornate di Napoli, quando i napoletani sono stati capaci di liberarsi da soli, e non c’è solo la sete d’acqua causata dai bombardamenti ma anche la sete di vita: “Io un americano me lo voglio sposare…”, dice all’amica quando arrivano le truppe alleate. E non è da meno il claim di La casa sull’argine di Daniela Raimondi, siamo nel lombardo-veneto, tra sensitive e tarocchi, amori e maledizioni: “La saga di una famiglia che si dipana attraverso due secoli di Storia, dai moti rivoluzionari per l’Unità d’Italia fino agli Anni di Piombo”. E’ lo schema perfetto del romanzo neostorico che ricostruisce il passato non con più o meno fedeli intenti storiografici in cerca della verità, ma con l’occhio puntato all’oggi, cioè con un “impianto ideologico compatto”, secondo la definizione che ne ha dato Gianluigi Simonetti, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Losanna, in un articolo apparso sulla rivista culturale online Snaporaz: Partigiane queer. Cosa succede nel romanzo storico.

Dopo aver individuato M di Antonio Scurati come il capostipite del romanzo neostorico, Simonetti sceglie come titoli esemplari I giorni di Vetro di Nicoletta Verna e il duo La Malnata e La malacarne di Beatrice Salvioni. Vetro è il nome di uno sfregiato e feroce gerarca fascista, da cui si emancipano in una sorellanza amorosa le due protagoniste, la moglie e vittima Redenta, e Iris, partigiana e sposa di partigiano. Mentre nella saga di Salvioni la ribelle Maddalena, storpia come Redenta ma “bella da far male”, stringe con Francesca una relazione che è due volte militante: poliamorosa e queer, antifascista e partigiana. Scrive Simonetti: “La fiction neostorica ha scelto di mantenere con la Storia rapporti liberi, attingendo volentieri all’invenzione, per questa via aprendo una strada più ampia ai desideri consci e inconsci, o se si vuole alle proiezioni fantasmatiche, e al non detto dall’ideologia”. E se lo fa con scrittura e stile non sempre omogenei, nota Simonetti – che non risparmia nemmeno i romanzi di Franceschini e Veltroni con le loro eroine – “l’impianto ideologico appare invece di una compattezza senza crepe: un progressismo di ampie vedute che cerca le sue radici nel passato, specialmente nel ricordo di grandi donne (reali o inventate poco importa) capaci di collegare simbolicamente l’epica storica alla militanza contemporanea, spingendoci a riflettere sulla disparità e la violenza di genere”. Ma come si è arrivati a questa inarrestabile ascesa del romanzo neostorico?

Ma quand’è che si passa dal buon artigianato alla letteratura, e quanto è labile questo confine? E che fine fa l’universalità della cultura delle donne?

E quand’è che si passa dal buon artigianato alla letteratura, e quanto è labile questo confine? Sono alcune delle domande che si pone Simonetti. Prima del Covid erano usciti due romanzi, entrambi premiati nel 2018: Le assaggiatrici di Rosella Postorino, vincitrice del Campiello, e La ragazza con la Leica di Helena Janeczek, vincitrice dello Strega. Il primo un affondo nel vissuto del bunker di Hitler, dove donne scelte a caso sono costrette ad assaggiare il cibo preparato per lui; il secondo, la guerra civile spagnola filtrata attraverso l’obiettivo della giovanissima fotografa Gerda Taro. Dimostrando, sempre secondo Simonetti, “che il recupero impegnato di un passato intriso di epica totalitaria poteva abbinarsi al rilancio di istanze militanti, femministe e democratiche”. Quasi inevitabile dopo la vittoria politica delle destre la torsione a rivolgersi al passato per esorcizzarlo e contribuire alla barriera culturale progressista. Non del tutto prevedibile che molte scrittrici lo abbiano scelto come unico focus per una rivitalizzazione del romanzo storico, abbandonando la trasversalità (ovvero l’universalità) della cultura delle donne.

L’importanza delle fonti: diari, lettere. “E ‘Orlando’ di Virginia Woolf si può definire un romanzo storico?”, chiede la storica Paola Bono

La letteratura deve saper dire qualcosa di più sulla storia, sosteneva l’oggi riscoperta Anna Banti, l’autrice di Artemisia. Che ragionare sul canone del romanzo storico sia di grande interesse lo conferma un convegno che si terrà il 13 e 14 settembre a Roma, alla Casa internazionale delle donne, organizzato dalla Società italiana delle letterate, da una proposta della storica Paola Bono e della giovane scrittrice Giulia Caminito. Titolo “Dalle mancanze della Storia”. Sottotitolo: giornata di studio e tavola rotonda sul romanzo storico a firma di donne. “Il titolo che abbiamo scelto è un frammento del poeta tedesco Novalis: I romanzi nascono dalle mancanze della Storia”, spiega Paola Bono, una delle fondatrici della Sil. “I romanzi storici scritti da donne possono colmare quei vuoti, diventare luogo politico di opposizione e resistenza al silenzio che ha a lungo occultato la metà del cielo. Come ha dimostrato il lavoro di ricerca storica e storiografica femminista, che ci ha restituito numerose figure per costruirci genealogie di forza, la Storia ha mancato nel dare conto della presenza e dell’apporto delle donne nel farsi degli eventi, nel mondo occidentale e in ogni altrove”. Il desiderio di verità può non far parte della narrativa di finzione, ma della letteratura sì, dice ancora Paola Bono, e cita come esempio luminoso La storia di Elsa Morante (stroncato dalla critica quando uscì). Ecco qualche altro spunto su cui si discuterà nel weekend romano. Si può usare il romanzo storico, creazione di “storie possibili”, per sfidare una visione della Storia che ha escluso e relegato nel silenzio le donne, illuminando con l’immaginazione i lati oscuri della Storia e privilegiando una soggettività femminile nel punto di vista e nella scelta di quali eventi mettere in primo piano? Ad esempio, dando spazio alla quotidianità e all’intreccio delle relazioni interpersonali, più che a eventi della sfera pubblica, e facendoci così non tanto sapere quel che sarebbe successo, quanto sentire come si viveva allora? Da questo punto di vista importanti sono le fonti: i diari, le lettere, documenti a cui ricorrono le scrittrici del romanzo storico. “E Orlando di Virginia Woolf, che ha come sottotitolo A Biography, si può definire un romanzo storico? Cosa avviene allora nel caso di biografie inventate, in cui il processo immaginativo entra apertamente e con forza? Anche Maria Bellonci, nel suo Rinascimento privato, ha ripercorso la vita di Isabella d’Este in prima persona, e con un carteggio mai esistito…”.



Appartiene alla generazione che ha lavorato sulle biografie per ricostruire una genealogia femminile (bella la sua Olympe de Gouges, La donna che visse per un sogno) Maria Rosa Cutrufelli, tra le scrittrici che saranno al convegno. Dopo un romanzo distopico con al centro il tema della gravidanza per altri, giocato tutto nell’immaginario delle donne protagoniste (L’isola delle madri) e dopo la biografia di Maria Giudice, sindacalista socialista e madre di Goliarda Sapienza – lei sì aveva rovesciato la Storia con il suo scandaloso L’arte della gioia – Cutrufelli si è cimentata con un romanzo che potremmo definire neostorico, Il cuore affamato delle ragazze. “E’ vero, oggi la piccola storia fagocita la grande Storia, è la sovversione del canone, un sovvertimento interno che scatta nel momento della narrazione”, dice Cutrufelli. Le sue protagoniste sono due ragazze dal cognome italiano, Etta, la voce narrante, e Tessie, che nel periodo della grande emigrazione in America lavorano e lottano per i loro diritti in una fabbrica tessile di New York (adombra la Triangle che prese fuoco il 25 marzo 1911, dove morirono tutte le operaie). “Le mie ragazze non si sentono più vittime, non sono più fantasmi nella Storia, hanno la voglia di ridefinire la loro presenza, vivono come un’epopea l’avventura collettiva e condivisa”. Cosa direbbe oggi a una ragazza che vuole scrivere? “Tenere a mente una cosa che ha detto Nadine Gordimer: quando si esce dall’Eden della creatività della scrittura, rimane la responsabilità. Il mercato è inesorabile, subiamo i residui tossici delle mode e del nostro immaginario sociale, c’è sempre il rischio della banalizzazione. Per questo è importante studiare le grandi scrittrici del secondo Novecento, proprio quando si parlava della morte del romanzo loro facevano una rivoluzione: Banti, Bellonci, De Cespedes, Morante…”.



“Quando diciotto anni fa abbiamo aperto la Libreria Tuba al quartiere Pigneto di Roma i libri delle donne li dovevamo cercare con il lanternino”, racconta Barbara Piccolo, esperta di progetti culturali e soprattutto – ci tiene molto – libraia. Ora che la libreria, con il suo “Festival InQuiete” che si svolge ogni anno a ottobre, è riconosciuta come uno spazio significativo del femminismo italiano, capace di fare scouting, da cinque anni una fucina di nuove leve con il premio LetteraFutura, è invece travolta potremmo dire da un metaforico overbooking… “C’è un eccesso di produzione di libri scritti da donne, non è facile districarsi.

Ben venga l’uscita dal trio nonna-mamma-figlia, dal quesito della maternità senza risposte sufficienti”, dice la libraia Barbara Piccolo

Ben venga il romanzo storico, uscire dal trio nonna-mamma-figlia, dal quesito della maternità senza risposte sufficienti. Basta che non sia solo un pretesto narrativo, e che ci sia dietro un lavoro di documentazione serio, altrimenti si rischiano falsi storici”. Un esempio di lavoro accurato sulle fonti è quello che ha fatto Sara De Simone su Emily Dickinson, nell’appena uscito Una tranquilla vita da vulcano, cita sempre Barbara Piccolo. “Proprio studiando i documenti si è accorta che qualcosa non tornava, come fosse falso lo stereotipo di una Emily ombrosa e solitaria, e ha scoperto invece una donna piena di passione e vitalità”. Chissà se Francesca Pongiluppi, che ha vinto il premio LetteraFutura 2025 con Come le lucciole, apprezzerebbe per il suo romanzo la definizione di neostorico. Perché l’autrice fa uno scarto narrativo interessante, partendo da quello che ha vissuto lei e che conosce bene: 2001, siamo a Genova nei giorni del G8, la protagonista Sonia è una militante, ma decide all’ultimo momento di lasciare la città per trovare in una casa in collina le tracce di un passato che la riguarda, lei e la sua famiglia. Vive la contraddizione in maniera lacerante, con i compagni che la rimproverano per aver lasciato il campo: “Infame. Un mondo diverso è possibile e tu te ne vai”, dice a sé stessa. Ma il suo risalire nel tempo e dentro di sé le fa scoprire – e insieme narrare – le vicende del colonialismo italiano in Libia. Un doppio impegno dove tutto si lega, aprendo lo schema ideologico.

Post scriptum. Quest’anno cade il centenario dell’uscita di La signora Dalloway di Virginia Woolf, capolavoro assoluto. Un lungo piano sequenza letterario, la ricerca dei fiori giusti per la serata in un’affollata strada londinese, seguendo i pensieri della protagonista. Bastano i dettagli, basta un incontro casuale, un gesto, un odore, per capire in che periodo storico siamo. La grande letteratura si fa sempre storia.

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