Meno peso alle regioni. Il modello Pnrr-Zes può portare una svolta al sud

Questione meridionale? Ribaltata. Ma l’efficienza del futuro passa dal ridimensionamento delle regioni

Lo aveva sottolineato il Governatore della Banca d’Italia nella sua ultima Relazione Annuale e lo ha ricordato ieri il direttore di questo quotidiano: negli ultimi anni la dinamica del prodotto interno lordo nelle regioni meridionali sembrerebbe essere stata più sostenuta di quella osservata nel resto del paese. Sempre su queste colonne, circa un anno fa, avevo ricordato che “fra l’inizio degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, il tasso di crescita del prodotto interno lordo per abitante nel Mezzogiorno d’Italia ha superato il corrispondente tasso di crescita nazionale in circa un anno su tre. Lo stesso fenomeno si è, pressoché negli stessi termini, verificato fra la metà degli anni Novanta ed i primi anni della decade in corso”.

Ciò nonostante, il prodotto interno lordo meridionale per abitante – pari, nei primi anni Ottanta, al 67,8% del prodotto interno lordo per abitante nazionale – era, nel 2023, pari al 66,3% della stessa grandezza. Detto in altri termini, siamo ancora lontani dal registrare quella riduzione consistente e duratura dei divari regionali che manca e che anzi si è anno dopo anno allontanata fin dall’Unità. Il che però non ci esime dal domandarci se dietro le tendenze più recenti si nascondono segnali meritevoli di essere colti ed eventualmente sostenuti. Ci sono molti motivi per pensare, ad esempio, che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza abbia avuto nel Mezzogiorno un impatto superiore a quello osservato altrove nel paese. L’estensione della ZES unica alle regioni Marche e Umbria è la conferma migliore del successo di una scelta che – superando radicalmente le sciagurate politiche regionali dell’ultimo trentennio – sembra aver contribuito non poco all’andamento più recente dell’attività economica meridionale. L’approvazione del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto – quale che sia l’opinione al riguardo – lascia pensare che per una volta la cultura del “non si può” (ed i tanti danni ad essa collegati) abbia dovuto cedere il passo. Ultimo, ma forse non meno importante, la scelta di limitare a due i mandati dei presidenti regionali: una spinta al rinnovamento di classi dirigenti in contesti per motivi diversi forse non sufficientemente contendibili.

E’ possibile trovare un filo rosso in grado di connettere questi esempi? Forse sì e lo si ritrova in una ridefinizione del ruolo delle regioni e, più in generale, nel superamento per il momento ancora parziale dei principali punti di debolezza delle politiche di coesione. Facendo emergere la natura schiettamente sovraregionale dei problemi meridionali, per un verso, ed evitando, per quanto possibile, che nelle decisioni pubbliche che, in teoria, dovrebbero prescinderne, prevalgano gli interessi particolari. O, infine, che le politiche regionali siano esse stesse canali di selezione e di consolidamento della classe dirigente locale.

Se le cose stessero in questi termini, allora lo sforzo principale dovrebbe essere teso a irrobustire ulteriormente queste tendenze. Ridefinendo le politiche di coesione – correttamente associate alle politiche agricole nel progetto di bilancio europeo – al fine di trasfondere in esse, se del caso potenziate, le innovazioni strutturali che hanno caratterizzato i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza. Prendendo impegni chiari intesi a fare della ZES unica, delle relative procedure amministrative e delle relative risorse un elemento stabile e certo del panorama meridionale (e non solo). Facendone l’architrave delle politiche per il Mezzogiorno. Adottando anche in altri casi, forse meno eclatanti dal punto di vista dell’opinione pubblica ma altrettanto rilevanti per la vita quotidiana dei meridionali, la stessa determinazione adottata nel caso del Ponte sullo Stretto. Le resistenze non mancheranno perché diffusi e radicati sono gli interessi messi in discussione da una inversione di rotta di questa portata ma l’obbiettivo – la riduzione di divari regionali crescenti da oltre 150 anni – è tale da meritare ogni sforzo. Da parte di tutte le forze politiche – verrebbe di aggiungere – ma forse questo è veramente chiedere troppo.

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