Mentre a Brasilia si attende l’estradizione di Carla Zambelli, il ministro della Giustizia brasiliano Lewandowski si appella al “principio di reciprocità” e al recente caso di Cesare Battisti. Ma le autorità brasiliane protessero il terrorista per undici anni, con ostinazione e senza alcun rispetto del trattato di cooperazione
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha detto che deciderà a breve. E a Brasilia si aspettano che l’estradizione della deputata italo-brasiliana Carla Zambelli, condannata per hackeraggio, sia rapida. D’altronde, ha dichiarato recentemente il ministro della Giustizia del governo Lula Ricardo Lewandowski, “di recente il Brasile ha estradato Cesare Battisti in Italia e, poiché in questo campo prevale il principio di reciprocità, ci auguriamo che il governo italiano estrada questa donna in Brasile il prima possibile”. Si tratta di una versione un po’ edulcorata della storia, per nulla aderente alla verità dei fatti.
Perché, in realtà, il Brasile ha impedito l’estradizione dell’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo (Pac) per oltre undici anni, dal 2007 (quando venne arrestato in Brasile per ingresso illegale con documenti falsi) all’inizio del 2019 (quando venne arrestato in Bolivia). Nel mezzo, le autorità brasiliane hanno con ostinazione, contro ogni evidenza giuridica e senza alcun rispetto del trattato di cooperazione con l’Italia, protetto un terrorista condannato a due ergastoli per essersi macchiato di reati di sangue (quattro omicidi).
Prima il governo Lula ha garantito a Battisti lo status di rifugiato politico, poi lo ha scarcerato e infine gli ha garantito il diritto d’asilo e il visto permanente manco fosse un dissidente politico perseguitato da una dittatura. Poi, dieci anni dopo, solo con la caduta di Dilma Rousseff e del regno di Lula, il nuovo presidente Michel Temer concesse nel 2018 l’estradizione di Battisti, ma le autorità brasiliane se lo fecero scappare: Battisti venne arrestato nel 2019 in Bolivia da una squadra dell’Interpol formata da investigatori italiani. Non pare esattamente uno dei “solidi precedenti di cooperazione tra Brasile e Italia” in attuazione del “trattato di cooperazione”, come afferma il ministro Lewandowski.
Nel 2011, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrisse una lettera alla neopresidente brasiliana Dilma Rousseff, esattamente come aveva fatto in precedenza con il suo predecessore e padrino politico Lula, chiedendo il rispetto del trattato di cooperazione tra Italia e Brasile. La mancata estradizione “è un motivo di delusione e amarezza per l’Italia. Non è stato forse pienamente compreso il bisogno di giustizia del mio paese e dei familiari delle vittime di brutali e ingiustificati attacchi armati, nonché dei feriti in quegli attacchi e a stento sopravvissuti”. Ma la risposta di Rousseff a Napolitano fu che la mancata estradizione si basava su “un parere giuridico fondato nell’interpretazione sovrana dell’Avvocatura dello Stato sul trattato bilaterale relativa all’estradizione”, concludendo che “una divergenza giuridica, anche se importante, non intralcerà un rapporto secolare quale quello tra Italia e Brasile”.
Non si può neppure dire che la rievocazione, da parte del ministro della Giustizia brasiliano, del caso Battisti come di un precedente di buona e rapida collaborazione da parte del Brasile sia frutto dell’ignoranza. Perché Ricardo Lewandowski è stato coinvolto pienamente nella definizione della protezione politica di Battisti. All’epoca, infatti, Lewandowski era un membro della Corte suprema brasiliana (Supremo Tribunal Federal) che più volte si è dovuto pronunciare sulle richieste di estradizione italiane. Lewandowski è stato uno dei giudici favorevoli (con una votazione di 6 contro 3) alla sentenza del giugno 2011 con cui la Corte suprema brasiliana approvò la decisione dell’allora presidente Lula di negare l’estradizione dell’ex terrorista e decise la scarcerazione di Battisti. Come possa ora il ministro della Giustizia brasiliano citare, senza provare un po’ di pudore, il caso Battisti per chiedere una rapida estradizione della Zambelli ha dell’incredibile.
Lewandowski non è l’unico esponente delle autorità brasiliane a chiedere l’estradizione di Zambelli che aveva ruoli importanti all’epoca del caso Battisti. Come abbiamo già scritto sul Foglio, c’è anche l’attuale presidente della Corte suprema Luís Roberto Barroso, che è stato l’avvocato di Cesare Battisti in tutti i ricorsi di fronte al Supremo Tribunal Federal che ora presiede. Barroso, che era stato contattato dalla rete di scrittori di sinistra che in Francia proteggevano la latitanza del terrorista italiano, ha sempre sostenuto l’innocenza di Battisti: “Non ha commesso alcun atto di terrorismo – disse nell’arringa difensiva –. Lui e la sua organizzazione sono accusati di quattro omicidi contro agenti controrivoluzionari nemici del proletariato”. Barroso ha anche affermato che negli anni 70-80 “la democrazia italiana era più truculenta della dittatura brasiliana”, che proprio in quei decenni ammazzava e torturava i dissidenti. Come ha spiegato più volte, non si è trattato di un semplice servizio professionale: tanto è vero che ha lavorato pro bono. Barroso ha continuato a delegittimare le istituzioni democratiche italiane anche dopo essere diventato giudice del Supremo, dicendo che Battisti “era stato perseguitato politicamente a causa di una strategia di Silvio Berlusconi” e che, concedendogli lo status di rifugiato politico, “Lula ha salvato la vita di quest’uomo [Battisti]”.
Infine c’è Lula, attuale presidente del Brasile, che concesse lo status di rifugiato all’esponente dei Pac il 31 dicembre 2010, l’ultimo giorno della sua prima presidenza.
Così oggi i tre protagonisti della mancata estradizione di Battisti – il presidente di ora e di allora, l’avvocato del terrorista diventato presidente della Corte suprema e il giudice della Corte suprema diventato ministro della Giustizia – che pretendono l’estradizione della Zambelli invocando “reciprocità”. E’ esattamente quello che dovrebbero valutare di fare la premier Giorgia Meloni e il ministro della Giustizia Carlo Nordio, usando gli stessi atti e gli stessi argomenti giuridici adoperati dalle istituzioni brasiliane per un decennio, senza alcun rispetto per le vittime del terrorismo e le istituzioni democratiche italiane. E non c’è motivo di preoccuparsi per uno scontro internazionale con il Brasile. Come scrisse Dilma Rousseff a Napolitano respingendo per l’ennesima volta la richiesta di estradizione di Cesare Battisti, “una divergenza giuridica, anche se importante, non intralcerà un rapporto secolare quale quello tra Italia e Brasile”. Tanto più che la deputata brasiliana di estrema destra Zambelli, a differenza dell’ex terrorista italiano, non è condannata per reati di sangue.