Allargare l’idea e i confini di Milano, anche oltre la provincia

Solo sulla scala di un’Area metropolitana (non più di un’ora d’auto o di mezzi per arrivare in centro) è possibile governare, e non subire, lo sviluppo. L’intervento di Giorgio Gori, europarlamentare del Pd

La tempesta giudiziaria che agita Milano passerà, e il mio auspicio è che passi confermando la correttezza dei comportamenti di amministratori e imprenditori. Personalmente ho apprezzato il lavoro delle ultime amministrazioni milanesi e il salto di scala che lo sviluppo della città ha registrato sotto la guida di Giuliano Pisapia e Beppe Sala. Non privo di contraddizioni, come molti hanno osservato, ma ben lontano dal Far West che qualcuno in queste ore ha cercato strumentalmente di accreditare. Si perderebbe tuttavia un’occasione, se non si tentasse in questo passaggio di attivare un’adeguata riflessione sul presente e sul futuro del capoluogo lombardo, se non si cogliessero i limiti dell’attuale modello di sviluppo e della dimensione territoriale e istituzionale su cui è incardinato, e non si tentasse di guardare oltre, per dare forma a una visione capace di esprimerne le potenzialità e il bisogno di un maggior equilibrio sociale.

Vista la rilevanza del tema abitativo, a tale proposito, molti hanno in questi giorni sottolineato la necessità che il nuovo strumento di governo del territorio del comune di Milano, unitamente al Piano casa, contribuisca ad aumentare la disponibilità di alloggi a valori di acquisto o di locazione accessibili, a cui sommare una maggiore offerta di residenze pubbliche da destinare alle famiglie meno abbienti. Questo è giusto e opportuno. Ritengo tuttavia che il dibattito su crescita-equità sia viziato da una visione inadeguata della città, a partire dalla sua reale dimensione territoriale. E’ quello che ha scritto sul Foglio Stefano Boeri. Il suo invito a pensare Milano come metropoli, oltre gli angusti confini municipali, rappresenta un contributo importante, utile a collocare la riflessione sulla città in una prospettiva certamente più adeguata.

Tendo però a pensare che il nuovo perimetro che Boeri ci spinge a considerare, quello della Città metropolitana da 3 milioni di abitanti, sia a sua volta non sufficiente per leggere la Milano di oggi, la Milano che è diventata, e soprattutto la Milano del futuro.

Valutare la vivibilità e l’accessibilità di Milano a partire dai valori immobiliari che si registrano nel territorio del comune governato dal sindaco Sala (1,3 milioni di abitanti) equivale a farlo per New York City fermandosi ai valori immobiliari di Manhattan (1,6 milioni di abitanti sugli 8,7 milioni della città), ai prezzi degli appartamenti in vendita o in affitto dell’Upper East Side o del Greenwich Village: nessuno si sognerebbe di farlo, essendo evidente che la scala minima per leggere (e governare) la Grande Mela è quella che comprende il suo intero territorio – quindi anche i distretti di Brooklyn, Queens, Bronx e Staten Island – e anzi più ragionevolmente si estende ai 19 milioni di abitanti della sua area metropolitana, comprendente parti del New Jersey, Long Island e Connecticut.

Attenzione: “Area metropolitana”, non “Città metropolitana”. Se infatti i confini comunali denunciano tutta la loro inadeguatezza, nel delimitare solo il “cuore” della metropoli milanese – l’equivalente di Manhattan –, la stessa definizione amministrativo-burocratica di “Città metropolitana” – l’ex provincia di Milano, con i suoi 132 comuni – dice a mio avviso poco sulla traiettoria lungo la quale si è mosso lo sviluppo della città, e non abbastanza riguardo alla scala a cui è necessario operare per governarne efficacemente le dinamiche da qui in avanti. Sostengo che questa scala debba necessariamente coincidere con l’Area metropolitana di Milano, definendo quest’ultima nella dimensione della “catchment area” che è possibile circoscrivere utilizzando come raggio il tempo di percorrenza di un’ora – con mezzi di trasporto pubblici o privati – dal centro del capoluogo lombardo. In necessario rapporto, quindi, con città come Torino e Bologna, raggiungibili in 60 minuti con l’Alta Velocità; e certamente con Monza, Bergamo, Como, Lecco, Varese, Pavia, Lodi, Brescia, Novara, Piacenza e le rispettive aree urbane, tutte a meno di un’ora da Milano e tutte (più o meno) ben collegate al capoluogo lombardo. In queste città la qualità della vita e dei servizi è mediamente molto elevata, senza incappare in valori di locazione immobiliare confrontabili con quelli della “bolla” di Milano (municipio). E vivere a Bergamo, lavorando a Milano, è non solo possibile, ma ampiamente consigliabile (l’ho fatto per 27 anni, so di cosa parlo), come del resto hanno già capito le migliaia di persone che negli ultimi anni vi si sono trasferite dal capoluogo lombardo. A questa scala – che non per forza richiede un nuovo livello amministrativo, ma ampiezza di visione e forme strutturate di collaborazione inter-istituzionale (a comprendere anche la Regione, responsabile per edilizia popolare, infrastrutture e trasporti) – è possibile a mio avviso ricercare una soluzione a molti dei problemi “di crescita” che Milano ha evidenziato negli ultimi anni, a partire da quello dell’accesso alla casa per il ceto medio. A questa scala è possibile provare a governare – e non subire – la “gentrification”, accompagnandola con servizi e trasporti adeguati, e puntare a deflazionare un mercato immobiliare che nei pochi chilometri quadrati di “Milano centro” si è impennato sotto la spinta dell’enorme attrattività sviluppata dal capoluogo.


Torno a dire: è assolutamente opportuno che l’amministrazione comunale di Milano operi affinché ogni nuova edificazione contenga quote di housing, e perché cresca la dotazione di edilizia residenziale pubblica. Ma il mercato ha dinamiche che sarebbe velleitario pensare di sovvertire. Non si può pretendere che Milano giochi in Champions League, nell’ambìto campionato delle metropoli globali in grado di attrarre da tutto il mondo persone, idee, imprese, capitali e visitatori, e che contemporaneamente sia agevole trovare un alloggio a canone moderato, alla portata di tutti, nella cerchia dei Navigli. Questa cosa non succede in nessuna delle città con cui Milano si confronta: sarebbe come pretendere di trovare case a prezzi modici a Tribeca o intorno a Central Park.

Solo una visione “ridotta e ridicola” (cit. Boeri), ci spinge ancora oggi a far coincidere Milano con la dimensione del comune di Milano. Quest’ultimo andrebbe più correttamente considerato e amministrato come il “distretto centrale” – la “Manhattan” – della Città metropolitana milanese – quella di cui parla appunto Boeri. Già però sapendo che la stessa Città metropolitana non è sufficiente, e che i fabbisogni della Milano di oggi e di domani andrebbero più correttamente traguardati alla scala dell’Area metropolitana, ad attivare energie e responsabilità ben più estese, la collaborazione degli altri capoluoghi lombardi e un ruolo centrale di Regione Lombardia (vista la necessità di una diversa e migliore gestione dell’edilizia residenziale pubblica e del trasporto pubblico locale su ferro e su gomma).

E’ questa a mio avviso la prospettiva a cui la politica – milanese, lombarda e non solo – è chiamata a lavorare per rinnovare l’alleanza tra sviluppo e inclusività, crescita ed equità sociale, cogliendo l’occasione di riflessione che oggi le viene offerta per rilanciare le ambizioni e la leadership di Milano, necessarie a tutto il paese.

Giorgio Gori, europarlamentare Pd, ex sindaco di Bergamo

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