Carattere chiuso, presenza social rarefatta, pochissima tv, il passato da musicista senza santi in paradiso. Nel suo restare un non-personaggio propone una figura nella quale tanti hanno voglia di riconoscersi. Questa è la chiave del successo di Niccolò Moriconi e dei 250 mila biglietti venduti per Tor Vergata 2026
Qual è il segreto di Ultimo? Il cantautore romano ha appena messo una bandierina sull’atlante storico della musica pop italiana, annunciando il sold out (concretizzatosi in tre ore) dei 250 mila biglietti per il suo concerto che si terrà, addirittura tra un anno, nella spianata di Tor Vergata, alle propaggini della Capitale, dove si erge quel manufatto inspiegabile chiamato Vele di Calatrava. E’ un record assoluto, che polverizza il precedente primato della notte al Modena Park di Vasco Rossi nel 2017, fermatasi a 225 mila presenze. “Il concerto più grande di sempre” ha scritto Niccolò Moriconi (Ultimo) sul suo profilo Instagram, per l’evento a cui ha attribuito un nome ammiccante: “Il Raduno degli Ultimi”, categoria alla quale non è difficile iscriversi. Sorvoliamo sul gretto conteggio degli utili dell’evento, presentato con biglietti tra i 49 e i 99 euro, allineati verso il basso rispetto alle medie del momento. Viene piuttosto voglia di capire meglio le motivazioni di una mobilitazione passionale di questo genere, per un prodotto i cui contorni non è facile disegnare, così come è piuttosto impenetrabile la personalità del protagonista, il ventinovenne che adesso ai fans, senza eccessi di trionfalismo, promette: “Io sento una missione e ti giuro che andrò a meta”, dichiarazione un tantino roboante che equivale a dire “vi prometto una serata indimenticabile”.
Epperò è un fatto che nello stesso momento in cui il mondo musicale italiano sanguina per le cicatrici provocate dai fallimenti di tante tournée naufragate per assenza di pubblico, con spalti vuoti, rimorsi per il sovradimensionamento, baratri economici che potrebbero ingoiare più di una carriera, la scommessa di Ultimo vada a segno così splendidamente: la sera del decimo (!) concerto allo Stadio Olimpico di Roma del suo tour che va concludendosi, eccolo annunciare l’appuntamento oceanico del prossimo anno, con un gesto che ha assunto i crismi di una consacrazione: sono il nuovo Numero Uno. Notizia che spinge a individuare motivi e dinamiche di quello che è indubbiamente un fenomeno sospinto dal basso, imposto da un esercito di convinti seguaci, che nel breve arco della carriera di Ultimo hanno maturato un’identificazione, una fiducia e perfino un transfert mitico nei confronti del ragazzo che viene da San Basilio, quartiere romano difficile, nel quale però vive anche una piccola borghesia tranquilla come quella di cui lui è figlio. Studi al conservatorio, passione musicale covata fin da piccolo, una gavetta neppure troppo promettente, disseminata di bocciature ai talent dove si era presentato. Poi il decollo veloce, transitato per la vittoria a Sanremo Giovani nel 2018, la rivelazione a un pubblico che l’ha riconosciuto e adottato, un paio d’album per confermarsi ed ecco che presto per lui si sono aperte le porte degli stadi italiani (1 milione e 750 mila biglietti venduti) e la liturgia delle cifre roboanti: 84 dischi di platino, 17 dischi d’oro per 7 milioni di copie vendute, 3,5 miliardi di streaming su Spotify. Accanto a questo e alla benedizione di un grande classico come Antonello Venditti, anche la perplessità nei salotti buoni della musica italiana, i segni dell’incomprensione verso il fenomeno-Ultimo, il reiterato snobismo culturale pronto a ricamare sul fatto che piaccia, appunto, agli ultimi dei consumatori, quelli che fanno massa ma non opinione. E Niccolò ha fatto pochissimo per legittimarsi: carattere chiuso al limite della diffidenza, presenza social rarefatta, pochissima tv, ostinato nel ribadire soprattutto che lui non rinnega niente: il passato da musicista senza santi in paradiso, l’essere stato uno dei tanti che ci provavano con microscopiche possibilità di successo, il legame col suo quartiere popolare, la famiglia, gli amici del giardinetto, che adesso è diventato “il parchetto di Ultimo” e il sindaco Gualtieri c’è andato a inaugurarne il recupero e si è portato la chitarra per duettare con lui.
Ci avviciniamo al cuore della storia: Ultimo, nel suo restare un non-personaggio, propone una figura nella quale tanti hanno voglia di riconoscersi. Nelle sue ballate sempre cosparse di sofferenza, incomprensione, pentimenti, resistenza e rivincita, nelle sue esecuzioni vocali tutte in crescendo, nei ritornelli gridati allo spasimo (inizialmente con un’inticchia di rap, presto perso per strada), nell’accessibile banalità delle sue melodie, però educate e accorate, c’è tanto materiale di cui sentirsi partecipi. Il ritorno della Voce nella folla, essere Ultimo ma non essere Nessuno, l’invocazione della decenza nella normalità, della resilienza di quelli che restano ombre nell’universo della celebrità, l’attaccamento ai valori originali, iscritti nella sincerità, nel rispetto, nella volontà. Nelle sue canzoni tutto è chiaro, non ci sono metafore ma sofferenza esposta, tutto è detto con un linguaggio che cerca e talvolta trova poesia nella rivendicazione di un anonimato dignitoso, ma pieno di vita, desideri, speranze. L’eroe Ultimo rappresenta un brulicante universo d’insoddisfazioni ma anche di emozioni, mosso da vitalità, perché c’è sempre il momento in cui qualcosa può capitare. Ascoltare un suo album è un’immersione in un universo di occasioni sfuggite di mano, rimpianti e ritrovate certezze. E’ il mondo del mal di vivere raccontato, con convinzione rara, dal ragazzo col ciuffo che potresti trovarti davanti in metropolitana. Più lo si ascolta e più lo si ama: ed è in questa reiterazione del rito che si piantano le fondamenta della chiesa di Ultimo. Che non ha bisogno di altro – niente spot, niente stories, niente shining floor. Ci si vede a Tor Vergata il 4 luglio ’26, e per arrivarci terremo duro altri dodici mesi.