“(S)confini” e “Più veloce del tempo. Il viaggio della prima atleta transgender verso la felicità” per capire la condizione di tutte quelle persone che ancora vivono nell’ombra e che da quell’ombra dovrebbero avere il diritto di uscire, anche attraverso lo sport
Un filosofo “apprendista maratoneta” dedica il suo ultimo saggio a uno dei temi più complessi e controversi dello sport contemporaneo. Luca Grion, “(S)confini” (Erickson, 2025): chi ha diritto a competere nelle categorie femminili? A differenza del presidente Trump che ha affrontato il tema usando come tappezzeria i giocatori della Juventus nell’imbarazzo generale, Grion, con rigore filosofico scava tra concetti e casi concreti, da Caster Semenya a Lia Thomas, fino alla recente vicenda della pugile Imane Khelif, restituendo complessità dove troppo spesso trionfano semplificazioni binarie. Il suo è un invito a pensare, non a schierarsi. Anzi, a dubitare, esattamente come fanno i filosofi che più che offrire risposte, generano domande, a partire dalle parole stesse “sport”, “equità”, “identità” e ripercorrendo la storia stessa dello sport, dalla sua genesi classica alla lotta delle donne per farne parte. Al cuore del saggio c’è una domanda radicale: che cos’è lo sport? Grion ne riscopre il senso antropologico, il valore formativo, perfino il potere maieutico: nello sport si conosce davvero se stessi. E si capisce che la vittoria, da sola, non basta. La competizione ha senso solo se la sfida è equa, ma un’equità cieca può diventare esclusione mascherata. Tra un’affascinante genealogia dei Giochi olimpici e una critica ai limiti delle attuali categorie, Grion mostra quanto sia fragile il confine tra “natura” e “costruzione sociale”. Quanto siano arbitrarie, eppure potenti, le definizioni su cui poggia l’intero edificio sportivo. E quanto bisogno ci sia di nuove parole, nuovi sguardi, nuovi luoghi dove gareggiare insieme senza negare le differenze. In questo senso, il riferimento al modello paralimpico come laboratorio di categorie mobili e inclusive è tra le intuizioni più interessanti del libro. Non ci sono soluzioni semplici, e Grion non finge di offrirne, ma c’è un metodo: accettare la complessità, stare nel dubbio, cercare equilibrio senza rinunciare al rigore. E soprattutto, guardare lo sport per quello che è davvero: una lente potente, e a volte spietata, attraverso cui osservare la società, le sue disuguaglianze e le sue promesse mancate in questo tempo in cui la politica sportiva si barcamena tra populismi e tabù. Il libro non chiude la questione, ma ha il coraggio di aprirla davvero ricordando, come scrive Grion, che “le regole sono uno strumento (un mezzo) al servizio della pratica sportiva, non un fine in sé. Per questo possono cambiare, laddove si dimostrasse la loro inefficacia.”
Proprio in questo solco proponiamo allora la lettura di Valentina Petrillo (con Claudio Arrigoni e Ilaria Leccardi) “Più veloce del tempo. Il viaggio della prima atleta transgender verso la felicità“. (Capovolte, 2024). Valentina Petrillo, la cui storia è citata anche nel libro di Grion, è un’atleta paralimpica italiana. Partecipa a competizioni di atletica leggera paralimpica in classe T12, nel gruppo Visually impaired, essendo ipovedente, ed è stata la prima atleta transgender a partecipare alle paralimpiadi. Valentina fin dall’adolescenza ha fatto i conti con la malattia di Stargardt che le compromette la vista ed è una persona transgender che, dopo tanti anni ingabbiata in una conformità che la opprimeva, ha iniziato il suo percorso di affermazione di genere, scegliendo però di non abbandonare il sogno sportivo che coltivava dall’infanzia, ispirata dal suo mito Pietro Mennea. Un obiettivo che l’ha portata a scontrarsi con regolamenti escludenti, stereotipi, ostacoli burocratici. Ma che, nonostante tutto, è riuscita a raggiungere a Parigi nell’estate 2024, quando è diventata la prima atleta transgender a partecipare a un’edizione delle Paralimpiadi, vestendo la maglia azzurra. Un esempio e un punto di riferimento per tante persone che ancora vivono nell’ombra e che da quell’ombra dovrebbero avere il diritto di uscire, anche attraverso lo sport.