Non si possono disconosce oggi i suoi risultati, eppure il premier israeliano avrebbe fatto tutto per interesse personale. Ma quanto intriso di menzogna è talvolta il moralismo spicciolo di chi fa di ogni slancio un’ossessione?
Che cosa ci dice di noi l’odio per Netanyahu? L’avversione politica si spiega da sola. Un uomo di stato israeliano di destra dispiace a chi coltiva un grande mito ideale e letterario, l’integrazione pacifica in medio oriente di ebrei e arabi musulmani, la convivenza multietnica, il dialogo nello sviluppo comune, l’accostamento di diversi diritti a una patria o focolare nazionale. La crescita senza fanatismi della società israeliana, capace di contaminare con la laicità e almeno un barlume di democrazia quella terra che disconosce l’una e l’altra, è in sé attraente, sembra l’unica vera garanzia di sicurezza per quel paese avventuroso venuto dalla eco ormai lontana ma inestinguibile dello sterminio degli ebrei d’Europa, e da molto altro. Tutte le idee di Amos Oz, peace now, sono finite in minoranza, e Oz sapeva che sarebbe andata a finire così. Ma questo non vuol dire che siano prive di fascino, che alla lunga quel terreno non si debba comunque riconquistare. Tenebra e amore avvinte, inseparabili, complementari.
L’avversione ha basi reali, dopo decenni di occupazione militare e di colonizzazione, in una lotta senza esclusione di colpi per la gestione del potere, in una guerra spietata e tragica generata dal primo pogrom dopo la Shoah, nella totale scomparsa dell’amore e nella vittoria di tutte le tenebre.
Detto questo, perché l’odio? Perché la calunnia? Da dove viene l’ossessione di coscienza che è la versione corrotta ideologicamente dell’obiezione di coscienza?
Netanyahu ha vinto molte elezioni e dura da troppo tempo, forse. Ha fatto degli errori, ma ha lavorato con la legna e i materiali incendiari del suo paese e dei suoi vicini armati. Nemmeno il newyorchese liberal disconosce ora i suoi risultati: i colpi ad Hamas, la distruzione della testa e del corpo paramilitare di Hezbollah, la caduta di Assad, l’attacco al nucleare iraniano e al regime infame degli ayatollah, nato come cocco della gauche internazionale e subito rivelatosi come macchina di assassinio e potenziale sterminio antisemita, neanche gli ossessi di coscienza possono negare, per non parlare delle persone di buon senso e di buon cuore, che l’unico serio contributo a sicurezza e pacificazione sia venuto dalla scelta decisiva di rispondere al 7 ottobre maledetto con una guerra crudele ma necessaria. Eppure Netanyahu avrebbe fatto tutto ciò per salvarsi il culo in senso politicante, per sottrarsi a un processo, per il piacere della vendetta. Ma quanto intriso di menzogna è talvolta il moralismo spicciolo che muove le passioni di chi fa di ogni slancio un’ossessione?
Netanyahu è un abilissimo manovratore dei rapporti di forza, costruisce sui fatti un’opinione nazionale patriottica e genera anche paura, visioni ristrette del futuro, mette la camicia di forza del realismo senza sconti alla situazione in cui si trova. Non è fatto per piacere. Ma i suoi odiatori, che hanno sparso il veleno capace di appestare una generazione di disinformati e di sprovveduti e fanatici nei campus e nelle organizzazioni umanitarie, quelli che lo vedono come il fucilatore degli affamati, l’uccisore di bambini, lo stragista degli innocenti, ora che una prospettiva meno fosca si è aperta grazie al controllo delle informazioni e dei cieli e all’immensa necessità di distruzione soddisfatta dal sacrificio di un paese e di un esercito, e dalla tormentosa sorte dei suoi nemici che hanno sacrificato un popolo come scudo di una banda terrorista, non dovrebbero fare ammenda e riflettere sine ira ac studio sulla quantità di balle dolose che hanno profuso prima di tutto a sé stessi?