Carta nera. Scrivere in tempi bui

La recensione del libro di Teju Cole edito da Einaudi, 218 pp., 20 euro

“Nero su nero, carico di significato, ma plasmato dall’assenza. La carta nera era il documento fantasma. Nero su nero, segretamente saturo di senso”. E’ proprio la ricerca di un significato, di connessioni e di legami intrecciati di cui si nutre la raccolta di saggi di Teju Cole. Il nero come identità culturale, come accento politico, come colore (o assenza di tale), come pieno che accoglie il vuoto e vi ridà un nuovo senso. Cole parte dall’arte di Caravaggio, pittore amato fin da bambino, per addentrarsi nella sua prassi pittorica e poi da essa sparigliare fino ad arrivare agli incontri fatti nel viaggio che l’autore ha compiuto nel sud Italia sulle tracce delle opere del pittore. “Nelle mani di Caravaggio la narrazione rivive. La chiave, come al solito, è la sua fiducia nel realismo: se si mostra l’aspetto vero delle cose, i sentimenti arriveranno”. Cole passa dalla fotografia alla poesia, da compositori a traduttori, mescolando insieme elementi diversi che però partono sempre da un innesco esperienziale. Al centro c’è sempre il corpo, la capacità di utilizzare i sensi per cogliere il reale, la presa di coscienza dell’esperienza estetica quando si è circondati dall’oscurità. Il saper stare nel buio riuscendo, paradossalmente, a vedere di più. Cole utilizza – come ci ha abituato anche nei suoi libri precedenti – una narrazione mista che alterna autofiction e memoir. Ci sono poi anche frammenti elegiaci, come quello dedicato a un collega professore universitario recentemente scomparso, episodi legati all’infanzia dell’autore, saggi dalla matrice più socioculturale e politica. Questi continui passaggi di toni e registri rendono elastici i paradigmi di senso, allenano ad adottare prospettive nuove, provando a immedesimarsi con uno sguardo laterale e altro. Cole utilizza il nero come fil rouge e sembra indicare come postura chiave verso la realtà quella del prestare attenzione, dell’utilizzare tutti gli strumenti in proprio possesso – in prima battuta sensoriali, poi intellettuali e speculativi – per addentrarsi in questo “nero” che ci circonda. Senza che esso abbia una connotazione negativa, anzi. Il nero per Cole è prima di tutto un pieno, una dimensione che contiene tutto. E questo tutto può essere svelato, a poco a poco, se in questo nero ci si addentra. E’ quindi anche una questione di consapevolezza, non solo di pensiero e osservazione. Di saper intercettare e avvicinarsi alla saggezza che nel buio si cela. “I Navajo rimangono in casa durante l’eclissi. Dopo, dicono: E’ finita in bellezza”.

Teju Cole

Carta nera. Scrivere in tempi bui


Einaudi, 218 pp., 20 euro

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