Meloni non segue il modello spagnolo e dice sì all’aumento delle spese per la difesa (con un allarme sulla Libia)

Signor Presidente, Onorevoli Deputati,




il Consiglio Europeo del 26 giugno arriverà al termine di una serie di importanti impegni internazionali, tra i quali il Summit dei leader del G7 della settimana scorsa in Canada, e il Vertice NATO previsto per domani e dopodomani a L’Aja. E si terrà, come purtroppo avviene da tempo, in un frangente internazionale estremamente complesso, dove alla guerra in Ucraina e alla grave situazione in cui versa la striscia di Gaza, si è aggiunta la recente escalation in Medio Oriente.




Il Consiglio Europeo ci offrirà, quindi, l’occasione per discutere di quali debbano essere le priorità dell’Unione Europea in questa fase e, soprattutto, di quali iniziative mettere in campo per perseguire quelle priorità. E capite bene come sia ancora più sensato, oggi, quel richiamo al principio di sussidiarietà che spesso ho fatto all’Unione Europea. Penso che oggi, ancor più di ieri, sia necessario concentrarsi sulle questioni nelle quali possiamo davvero fare la differenza insieme, sul piano globale, e non su quelle materie di dettaglio che possiamo regolare meglio a livello nazionale. Ed è davvero lunga la lista di dossier su cui come Europa siamo chiamati a lavorare insieme, come anche l’agenda del prossimo Consiglio Europeo dimostra.

Il Consiglio Europeo si concentrerà, naturalmente, sugli ultimi sviluppi in Medio Oriente, a partire dalla crisi che coinvolge Israele e Iran, aggravatasi in queste ultime ore, a seguito dell’attacco statunitense a tre siti nucleari iraniani.

Comprendiamo tutti molto bene, in quest’aula, i potenziali enormi rischi derivanti da un’ulteriore destabilizzazione di una regione già molto provata, e penso che in questa fase così delicata sia importante il dialogo tra governo e opposizione per il bene e la sicurezza degli interessi della nostra Nazione. Farò del mio meglio per mantenere, e ampliare, questo dialogo.

Approfitto, n primo luogo, per confermare quanto già dichiarato dal Ministro degli Esteri Tajani e dal Ministro della Difesa Crosetto, in questi giorni, circa il fatto che nessun aereo americano è partito da basi italiane e che la nostra Nazione non ha in alcun modo preso parte alla operazione militare.

Detto questo, ieri mattina, dopo gli attacchi, ho convocato una riunione d’urgenza con i vicepremier, i Ministri competenti e i vertici dell’intelligence, per valutare la situazione e gli scenari collegati.

La nostra priorità è stata, ovviamente, la sicurezza dei nostri connazionali -civili e militari – presenti nella regione e l’esame dei possibili impatti securitari ed economici sull’Italia, a partire da quelli legati all’ambito energetico. Sulla situazione dei nostri connazionali, un convoglio con 122 persone a bordo è partito da Israele ed ha raggiunto ieri l’Egitto, da dove i cittadini italiani saranno riportati in Patria. Stiamo lavorando anche per ridurre in maniera ordinata la nostra presenza a Teheran, portando fuori dal Paese – via Azerbaijan – i connazionali che ne hanno fatto richiesta. Questa mattina un nuovo convoglio, il terzo, guidato dai nostri carabinieri, con circa 67 persone a bordo, inclusi alcuni dipendenti dell’Ambasciata, si è messo in viaggio verso Baku. Si stanno predisponendo le attività per far partire un ulteriore convoglio nei prossimi giorni a seconda dell’evoluzione della situazione sul terreno, ed è allo studio la possibile ricollocazione temporanea della nostra ambasciata in Oman, da aiutare quando tutti gli italiani saranno al sicuro.

L’acuirsi della crisi genera, ovvio, molta preoccupazione, per le possibili ripercussioni in tutto il Medio Oriente e oltre. Stiamo vagliando le ipotesi di risposta da parte iraniana e in particolare stiamo monitorando Hormuz, uno stretto strategico per le economie globali, capace di condizionare il prezzo del petrolio e dell’energia a livello mondiale. Ma, in ogni caso, ci siamo già occupati di assicurare all’Italia gli approvvigionamenti necessari.

Sulla crisi, la posizione del governo italiano rimane chiara. Reputiamo molto pericolosa l’ipotesi che l’Iran si doti dell’arma nucleare. Un Iran come potenza nucleare non rappresenterebbe solamente un pericolo vitale per Israele, ma avvierebbe una rincorsa a dotarsi di armi atomiche da parte degli altri attori dell’area, innescando un effetto domino molto pericoloso anche per noi.


Siamo convinti che solo un’azione diplomatica coordinata possa garantire la pace nella regione. È la ragione per la quale avevamo sostenuto con convinzione le negoziazioni tra USA e Iran. Abbiamo ospitato a Roma, in questi mesi, due round negoziali e siamo pronti a fare la nostra parte anche oggi.

Ma è giunto il tempo di abbandonare ambiguità e distinguo: l’Iran deve evitare ritorsioni contro gli Stati Uniti e cogliere l’opportunità, oggi, di un accordo con Washington sul proprio programma nucleare, consapevole che è possibile portare avanti un programma civile in un modo che garantisca la totale assenza di fini militari. Gli Emirati Arabi Uniti sono un modello nella regione in questo senso.

Con questo obiettivo, in queste ore, ho mantenuto contatti costanti con gli alleati del G7 e i principali attori regionali, e tutti concordiamo su una azione coesa a favore di un ritorno ai negoziati. Il Ministro degli Esteri Tajani ha parlato più volte in questi giorni con il suo omologo iraniano, l’ultima volta questa mattina, e ha trasferito questi messaggi. Il Ministro Tajani è stato in contatto anche con il Segretario di Stato Rubio e ribadirà oggi a Bruxelles la nostra posizione alla riunione dei Ministri degli Esteri dell’Unione Europea, come anche io stessa farò al Consiglio Europeo e negli incontri con i leader a margine del vertice NATO.

Ma in tutte queste occasioni ribadiremo anche un altro obiettivo prioritario per l’Italia: il cessate il fuoco a Gaza, dove, come già detto dal Governo in quest’aula, la legittima reazione di Israele a un terribile e insensato attacco terroristico sta assumendo forme drammatiche e inaccettabili, che chiediamo a Israele di fermare immediatamente.

Anche grazie all’impegno italiano, abbiamo condiviso questa necessità in ambito G7, e siamo soddisfatti del fatto che il riferimento al cessate il fuoco nella Striscia sia incluso nella Dichiarazione finale dei leader al Vertice di Kananaskis. Siamo convinti che sia necessario, e possibile, cogliere il momento per ottenere finalmente una cessazione delle ostilità sulla striscia – anche per permettere l’ingresso degli aiuti umanitari e porre fine alle sofferenze della popolazione civile, che ha patito troppo e troppo a lungo – e più in generale per allentare la tensione nella regione. A questo obiettivo fondamentale stiamo ora dedicando i nostri principali sforzi.

Ribadiamo il nostro forte sostegno alla mediazione intrapresa da Stati Uniti, Egitto e Qatar. Il futuro della Striscia può iniziare solo con la liberazione degli ostaggi e il disarmo di Hamas. Una cessazione permanente delle ostilità è necessaria anche per poter avviare la sfida della ricostruzione, in cui – come ho già detto – credo che le Nazioni arabe debbano svolgere un ruolo preminente. E in cui, è chiaro, Hamas non potrà avere alcun ruolo.

Per la Palestina, siamo pronti a fornire il nostro contributo per un assetto futuro in cui i due popoli possano convivere in pace, dignità e sicurezza, in cui i terroristi non possano avere alcun ruolo e in cui la Striscia di Gaza non possa mai più essere una piattaforma per attacchi verso Israele. Al contrario, nel quadro di una soluzione concordata, una riformata Autorità Palestinese dovrebbe, a nostro avviso, assumere responsabilità sempre maggiori di governo e la gestione della sicurezza sia in Cisgiordania che a Gaza.

Per ottenere questi risultati sono necessarie scelte coraggiose, in primo luogo da parte di Israele. È necessario un processo politico che conduca alla soluzione dei due Stati, con garanzie di sicurezza reali e credibili per Israele e una piena normalizzazione dei rapporti con il mondo arabo e islamico, portando a compimento il processo avviato con gli Accordi di Abramo.


L’Italia, attore determinante nel sostegno concreto alla popolazione di Gaza, sia in termini di finanziamenti stanziati sia di aiuti umanitari consegnati, intende inoltre portare in sede di Consiglio Europeo l’esperienza maturata con l’iniziativa Food for Gaza per rafforzare l’azione umanitaria dell’Unione Europea.

E consentitemi, in quest’Aula, di ringraziare gli operatori umanitari, i medici e i paramedici che operano in prima linea nella Striscia. Siamo loro vicini e faremo di tutto per sostenerli e proteggerli. Proprio in questi giorni, il Governo si è impegnato a stanziare ulteriori aiuti per OMS e UNICEF per attrezzature sanitarie e assistenza a donne e bambini. Da ultimo, l’Italia ha coordinato l’evacuazione di 70 palestinesi dalla Striscia di Gaza, tra i quali anche il piccolo Adam insieme a sua madre, la dottoressa Alaa al-Najjar, unici sopravvissuti di una famiglia di dodici persone.

Ma oltre l’emergenza, se allarghiamo lo sguardo, vediamo un Medio Oriente profondamente cambiato. Assad è caduto e abbiamo una nuova Leadership a Damasco. Hezbollah è indebolito e il Libano ha una nuova dirigenza che dobbiamo sostenere, e che può davvero voltare pagina, superando le molte crisi che hanno attanagliato quella Nazione negli ultimi anni. La ripresa economica di entrambi i Paesi e la ricostruzione non solo delle infrastrutture, ma anche del tessuto sociale libanese e siriano, sono cruciali per gli equilibri di lungo periodo della regione e non solo. In Libano, l’Italia intende continuare a sostenere le esigenze umanitarie della popolazione, avviando al contempo progetti con effetti duraturi. Per la Siria, abbiamo annunciato a Bruxelles uno stanziamento da 50 milioni di euro, che saranno destinati a interventi nei settori dell’assistenza e reintegro dei rifugiati, protezione dei soggetti vulnerabili, infrastrutture, sicurezza alimentare, salute e protezione del patrimonio culturale. La rimozione delle sanzioni economiche dell’UE alla Siria determina una congiuntura storica chiave per il Medio Oriente. L’Italia farà il possibile affinché il Consiglio europeo ne colga le potenzialità, per definire un nuovo ‘triangolo di stabilità’ tra Libano, Siria e il futuro Stato palestinese, che avrebbe effetti cruciali anche per la sicurezza di Israele.




Ci sono, infatti, in tutto il mondo arabo, e in particolare nel Golfo, leader interessati a un futuro di pace e opportunità economiche, che sono pronti a lavorare a un quadro regionale in cui Israele possa essere pienamente integrato, come un partner e non un nemico. Una regione proiettata nel futuro, che esporta tecnologia e ricchezza in luogo di instabilità e terrorismo. Un cambiamento epocale che gli estremisti proveranno a contrastare in ogni modo, soprattutto facendo ricorso alla cinica strategia degli attentati contro la popolazione inerme. In questo contesto rientra probabilmente il terribile attentato che ieri ha colpito la Chiesa di Sant’Elia a Damasco, causando decine di vittime tra i fedeli. Alla comunità cristiana siriana voglio esprimere a nome dell’Italia il più sentito cordoglio.




L’Italia, insomma, è impegnata nella ricerca di soluzioni serie e concrete e non è interessata alle speculazioni politiche, perché la difficilissima situazione che sta vivendo il Medio Oriente non lo consente. La riconoscenza della popolazione palestinese ed israeliana per quanto ha fatto e sta facendo l’Italia è l’unica cosa che ha importanza per noi. Lo voglio dire agli italiani: siate fieri di quanto ha fatto la nostra Nazione, dalle istituzioni al mondo del volontariato, dai nostri militari ai nostri medici e infermieri, per aiutare le persone comuni che stanno vivendo questo drammatico momento.




Porteremo queste riflessioni in Consiglio europeo, ma il punto di partenza, ribadisco, resta il cessate il fuoco a Gaza, e la ripresa delle negoziazioni tra le parti sul conflitto in Iran, condizioni necessarie a definire una nuova architettura politica e di sicurezza.




Nel Consiglio Europeo torneremo, ovviamente, anche a discutere della guerra di invasione russa all’Ucraina. Assistiamo in questo frangente a una fase estremamente delicata del conflitto, con l’assenza di progressi sostanziali sul piano negoziale, specie in termini di cessazione delle ostilità.




Alla luce di questi sviluppi, due sono le direttrici su cui ci stiamo muovendo: sostegno all’Ucraina e pressione sulla Russia. Anche qui, l’obiettivo immediato è un cessate il fuoco che fermi i combattimenti e lasci il campo alla diplomazia, per discutere un vero e duraturo accordo di pace, che giocoforza avrà un impatto anche sull’architettura di sicurezza europea.






Credo che l’impegno dell’Ucraina a favore della pace sia chiaro a tutti, a partire dall’immediata disponibilità ad accettare il cessate il fuoco proposto dal Presidente Trump, dalle ripetute manifestazioni di disponibilità a colloqui diretti con la Russia che abbiamo visto a Istanbul con l’invio di una delegazione qualificata, e dalle proposte concrete e credibili per un percorso negoziale.

La ripresa del dialogo diretto e lo scambio di prigionieri sono passi in avanti, ma sono insufficienti. La Federazione Russia deve ora dimostrare di volersi seriamente impegnare al tavolo negoziale. Al momento, purtroppo, non vediamo questo impegno, come dimostrano i sistematici e premeditati attacchi russi contro gli obiettivi civili, particolarmente alla vigilia di eventi importanti, come è stato per i bombardamenti su Kiev alla vigilia della presenza del Presidente Zelensky al vertice del G7, come se il tentativo fosse, invece, quello di minare ogni tentativo di fare passi in avanti nel percorso di pace.

Penso, quindi, che in questa fase sia importante esercitare sulla Russia una pressione coordinata, e siamo pronti a farlo con il diciottesimo pacchetto sanzionatorio attualmente in discussione a Bruxelles, incentrato sulla flotta ombra di petroliere riconducibili alla Russia, utilizzate per aggirare le sanzioni, e più in generale sul settore energetico e su quello bancario.

Intendiamo continuare a sostenere l’Ucraina nella sua legittima autodifesa, ma anche nella prospettiva della ricostruzione, una delle più importanti scommesse sul suo futuro di Nazione sovrana, libera e prospera. Il 10 e 11 luglio ospiteremo a Roma l’Ukraine Recovery Conference e in quella sede torneremo a ribadire il nostro impegno per garantire al popolo ucraino un futuro di pace e benessere. Una sfida ambiziosa, che possiamo vincere solo se riusciamo a mobilitare il settore privato. Stiamo lavorando con l’Ucraina e i partner esattamente in questa direzione, e contiamo di raggiungere obiettivi concreti e tangibili. Consapevoli come siamo che un’Ucraina libera e prospera sarebbe una grande opportunità e una grande ricchezza per l’intera Europa.

Ma dobbiamo essere anche pronti a fare di più per la sicurezza e la difesa dell’Italia e dell’Europa. È una necessità strategica che non possiamo più disattendere, perché come ho già detto in quest’aula, nessuna Nazione e nessuna organizzazione di Stati può essere pienamente indipendente e sovrana se affida ad altri la propria difesa e la propria sicurezza. E questo ha ricadute che vanno molto oltre la questione della difesa in sé, perché coinvolge le dinamiche economiche e commerciali, ovvero, in poche parole, la possibilità stessa di difendere appieno i propri interessi nazionali.

Se non sai difenderti non decidi, se non decidi non puoi considerarti pienamente libero.

È il motivo per il quale ho sempre creduto che fosse una scelta giusta lavorare per costruire un solido pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica, da affiancare a quello nordamericano, in un’ottica di complementarità strategica e capace di incentivare anche la formazione di una solida base industriale europea.

Nel 2014, gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica si erano impegnati a fornire le forze e le capacità richieste dai piani di difesa della NATO, equivalenti al raggiungimento in 10 anni di spese per la difesa pari al 2% del PIL. Da allora, tutti i governi italiani hanno confermato quell’impegno, senza eccezioni di colore politico. È un obiettivo che abbiamo raggiunto, rispettando così la parola data dall’Italia a livello internazionale. Lo abbiamo fatto sia rilanciando la traiettoria di potenziamento delle nostre capacità di difesa, sia inserendo nel computo delle spese rilevanti le voci che altre Nazioni già considerano, in linea coi parametri stabiliti dall’Alleanza Atlantica. Spese che rientrano in quell’approccio allargato e multidimensionale della difesa che sono propri del Concetto strategico NATO, del Libro Bianco UE e del Piano Readiness 2030.

Al vertice dell’Aja ci confronteremo sulla proposta presentata dal Segretario Generale della NATO Rutte sul potenziamento della capacità difensiva dell’Alleanza e saremo chiamati ad assumere impegni all’altezza della complessità del tempo che viviamo. Impegni che dovranno essere chiari, trasparenti e soprattutto sostenibili dal punto di vista economico e finanziario, sia per questo Governo sia per quelli che verranno dopo di noi.

Resta ferma la necessità, a livello europeo, di rendere compatibili le regole del patto di stabilità con l’incremento delle spese di difesa concordate con gli alleati. In particolare, con riferimento alle procedure di deficit eccessivo, riguardo cui è necessario conseguire una parità di trattamento ed evitare rischi di applicazioni asimmetriche.

Attualmente la proposta presentata prende atto della valutazione aggiornata che la NATO fa delle minacce e dei rischi per l’Europa, dei conseguenti piani di Difesa e della possibile riduzione del contributo in termini di forze e capacità da parte degli Stati Uniti. Questo si traduce in un impegno per tutti i membri dell’Alleanza ad arrivare al 3,5% del PIL in spese di difesa e al 1,5% in spese di sicurezza.

Sono impegni importanti, certo, ma necessari, che, finché questo Governo sarà in carica, l’Italia rispetterà restando un membro di prim’ordine della NATO.

Per il semplice motivo che l’alternativa sarebbe più costosa e decisamente peggiore. Intorno a noi vediamo moltiplicarsi caos e insicurezza, e non lasceremo l’Italia esposta, debole, incapace di difendersi o impossibilitata a difendere i suoi interessi come merita.

In questa trattativa, l’Italia è stata impegnata, da un lato, ad ottenere una modulazione sostenibile nel tempo degli investimenti richiesti e, dall’altro, a far sì che in questo nuovo programma di impegni per i prossimi anni venga rispettato quell’approccio a 360 gradi che vede come essenziali per la difesa nazionale, europea e occidentale gli investimenti strategici sulla sicurezza in tutti i domini oggetto di minacce ibride.

Significa non solo difesa in senso stretto, ma molto altro. Significa difesa dei confini, lotta ai trafficanti di esseri umani, lotta al terrorismo, minacce cyber, infrastrutture critiche e mobilità militare. É un approccio che conoscete, del quale abbiamo già discusso in quest’aula, che l’Italia ha già sostenuto con successo nella fase di discussione del Piano Ue Readiness 2030 e che sta trovando importanti riscontri anche da molti partner.

Grazie alla mediazione voluta e ottenuta dall’Italia avremo un periodo temporale di 10 anni per raggiungere il 3,5% di spese per la difesa, libertà sugli aumenti annuali senza alcun limite minimo anno per anno e possibilità di revisione degli impegni nel 2029. In sostanza, tenuto conto che già siamo al 2% del PIL per la Difesa, un aumento dell’1,5% in dieci anni, non distante dall’impegno preso nel 2014 dal governo di allora di un aumento dell’1% in dieci anni (per passare dall’uno al due per cento del PIL).

Riguardo l’1,5% di spese dedicate alla sicurezza, abbiamo invece chiesto e ottenuto che siano gli stati membri a definire cosa considerino una minaccia per la sicurezza dei propri cittadini e quali strumenti mettere in campo per affrontare quella minaccia, e di conseguenza quali spese effettuare.

Si tratta di un percorso compatibile con tutte le altre priorità del governo – perché non distoglieremo risorse da ciò che consideriamo importante per il benessere degli italiani – coerente con gli impegni internazionali dell’Italia, e coerente con la posizione che l’attuale maggioranza di governo ha consacrato nel programma con il quale si è presentata agli italiani. Perché senza difesa non c’è sicurezza e senza sicurezza non c’è libertà. E aggiungo, senza sicurezza e libertà non c’è benessere né prosperità.

Il Consiglio Europeo si occuperà anche di ciò che sta accadendo in altre due aree strategiche per la sicurezza dell’Italia e dell’Europa: il Nord Africa e il Sahel.

I violenti scontri a Tripoli delle scorse settimane dimostrano che non possiamo permetterci di trascurare la Libia. Ciò che accade in Libia ha immediate ripercussioni sulla sicurezza dell’Unione europea, e l’Italia è di gran lunga la Nazione più esposta a eventuali rischi e minacce.

Il quadro sul terreno resta tuttora molto fragile e imprevedibile e l’Italia sostiene pienamente gli sforzi per consolidare il cessate il fuoco attraverso il dialogo, ma crediamo che anche l’Unione Europea debba esercitare tutta la sua influenza affinché le parti continuino a rispettare incondizionatamente la tregua, assicurando ogni sforzo per scongiurare che vi siano ulteriori vittime civili o danni a infrastrutture residenziali o commerciali.

Al tempo stesso dobbiamo lavorare per rilanciare un processo politico che conduca la Libia verso un assetto politico-istituzionale più stabile, e il ruolo delle Nazioni Unite resta centrale, anche per mediare le posizioni tra le Istituzioni dell’Est e dell’Ovest e trovare un terreno concreto di confronto proattivo tra tutti gli attori coinvolti.

L’Unione Europea deve usare la sua influenza e la sua forza per esercitare una pressione sui principali attori libici affinché collaborino con l’ONU senza precondizioni, anche perché una Libia debole e frammentata è destinata ad attrarre sempre più le ingerenze di potenze straniere portatrici di interessi strategici diversi dai nostri. Ma è essenziale che l’Europa sostenga la mediazione dell’ONU in maniera coesa e leale, superando le divisioni tra Stati Membri che in passato hanno soltanto avvantaggiato attori ostili all’Unione.

La stabilità della Libia e dei Paesi confinanti rappresenta un elemento determinante anche per il contenimento dei flussi migratori irregolari e per il contrasto dei traffici illeciti che attraversano il Mediterraneo centrale. È infatti nei vuoti di potere e nella debolezza delle istituzioni che si radicano le reti criminali e i trafficanti, che sfruttano instabilità e fragilità per alimentare circuiti migratori fuori controllo e forme di economia illegale che minacciano direttamente la sicurezza europea.

E aggiungo che l’Est e il Sud della Libia sono già le principali teste di ponte della proiezione militare russa in Africa. C’è il rischio concreto che la Russia possa sfruttare l’instabilità attuale per rafforzarsi ulteriormente in Libia e quindi nel Mediterraneo. Siamo intenzionati a portare il tema in Consiglio Europeo, per chiedere ai nostri partner e all’Unione di prestare maggiore attenzione a questa pericolosa dinamica.

Sul Sahel, a fronte del costante arretramento della presenza europea nel corso degli ultimi anni, l’Italia sostiene l’esigenza di un approccio flessibile e pragmatico che metta al centro i nostri comuni interessi strategici.

Anche nell’ottica di contenere la crescente influenza negativa di altri attori internazionali nella regione, sosteniamo in ambito UE il riavvio del dialogo politico, della cooperazione allo sviluppo e della collaborazione in materia di sicurezza con tre Paesi centrali della regione come Mali, Burkina Faso e Niger, attualmente governati da giunte militari, usciti dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale e riunitisi nell’Alleanza degli Stati del Sahel.

Su queste linee, stiamo contribuendo attivamente alle discussioni in corso su un “rinnovato approccio dell’UE per il Sahel”, affinché prevalga una linea pragmatica di re-ingaggio e di dialogo, anche critico, sui temi del ritorno all’ordine costituzionale. A riprova di questo impegno, l’Italia – unico tra gli Stati occidentali – mantiene con la MISIN in Niger una collaborazione militare bilaterale nell’area, anche nell’ottica di assicurare una maggiore profondità strategica del Fianco meridionale della NATO. E proprio grazie al ruolo privilegiato dell’Italia, ritengo che il nostro Paese potrebbe porsi come mediatore tra i paesi del Sahel e quelli occidentali interessati a ottenere nuovamente una loro presenza, attraverso un processo virtuoso e concordato.

Al Consiglio Europeo faremo nuovamente il punto sull’attuazione delle politiche dell’Unione europea in ambito migratorio. Una discussione che cade nel quarantesimo anniversario del Trattato di Schengen che, se da un lato ha garantito una libertà per noi oggi irrinunciabile, come quella di poterci muovere senza barriere all’interno dell’Ue, dall’altro ha visto per troppo tempo sottovalutato e non pienamente attuato il suo secondo pilastro: quello della difesa e della protezione dei confini esterni dell’Unione e, conseguentemente, della riaffermazione del sacrosanto principio secondo il quale spetta agli Stati decidere chi può entrare all’interno dei propri territori, e non certo alle mafie dei trafficanti di esseri umani.

Sono molto fiera del lavoro fatto su questa materia anche a livello di G7, dove non a caso è stato affidato all’Italia il compito di coordinare il tavolo tematico sull’immigrazione e la lotta globale contro il traffico di esseri umani. Un formato che dà seguito al lavoro della Presidenza italiana dello scorso anno.






Il documento finale del G7 sull’immigrazione sposa in pieno la nostra linea, ovvero la necessità di una immigrazione regolamentata, di una lotta senza quartiere alla criminalità organizzata che gestisce il traffico di esseri umani – soprattutto seguendo il principio “follow the money”, che abbiamo imparato da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – e di una cooperazione tra pari con i Paesi di origine e di transito, strategia alla base degli accordi bilaterali che abbiamo siglato, nonché ovviamente del Piano Mattei per l’Africa e del Global Gateway della UE.

E proprio sulla sinergia tra le due piattaforme, Piano Mattei e Global Gateway, la scorsa settimana – insieme alla Presidente della Commissione Europea – abbiamo ospitato a Roma una conferenza internazionale nella quale abbiamo annunciato nuovi impegni verso il continente africano. Il Piano Mattei, insomma, non è più una strategia solo italiana.

Come sapete, negli ultimi due anni – su spinta italiana – c’è stato a Bruxelles un deciso cambio di passo in materia migratoria. L’attenzione, ora, è tutta rivolta alla dimensione esterna, ai partenariati paritari con le Nazioni di origine e transito dei migranti, al nuovo Regolamento per rendere più efficaci i rimpatri e al nuovo patto migrazione e asilo, alla cui attuazione gli Stati membri stanno lavorando in vista dell’entrata in vigore a metà del prossimo anno. Senza dimenticare le cosiddette soluzioni innovative, concetto anch’esso introdotto dall’Italia con il protocollo Italia Albania.

Attorno a questa strategia complessiva – che include i concetti rafforzati di Paese sicuro di origine e di Paese terzo sicuro ma, anche, in prospettiva la creazione di centri di rimpatrio europei in Paesi terzi – è oggi riunita la stragrande maggioranza degli Stati membri, e il risultato è che la Commissione, in questi ultimi mesi, ha presentato diverse proposte legislative concrete su queste materie. Voglio ricordare ad esempio la lista europea di Paesi di origine sicura, che fa giustizia di tante, troppe, decisioni dettate da una distorta lente ideologica alle quali abbiamo assistito, per mesi, qui in Italia. Toccherà ora ai legislatori europei, Consiglio e Parlamento, portare avanti rapidamente i relativi negoziati.

L’Italia è stata all’avanguardia in questo dibattito e sempre molto esigente sull’attuazione pratica di quanto deciso, e, ovviamente, anche in occasione di questo Consiglio si riunirà il gruppo di lavoro sull’immigrazione che abbiamo promosso insieme a Danimarca e Paesi Bassi, e che ormai rappresenta ampiamente la maggioranza degli Stati Membri, tenuto conto che ora anche la Germania ha deciso di farne parte.

Sempre con il Primo Ministro danese Mette Frederiksen, e altri sette Leader europei – che sono certa aumenteranno, data la recente adesione del Primo Ministro ungherese Orban e l’interesse crescente che registriamo sull’iniziativa – vogliamo continuare a cercare soluzioni sempre più efficaci. Per questo, lo scorso 22 maggio, abbiamo firmato una lettera aperta con la quale chiediamo di aprire una riflessione di alto livello sul tema delle Convenzioni internazionali alle quali siamo legati, e sulla capacità di quelle Convenzioni, a distanza di diversi decenni da quando sono state adottate, di saper affrontare efficacemente le questioni del nostro tempo. A partire proprio dal fenomeno migratorio.

Ovviamente, la riflessione che proponiamo non ha l’obiettivo di indebolire queste Convenzioni o i valori che incarnano. Il nostro obiettivo è, al contrario, rafforzarli, perché adattandone l’applicazione a una realtà che è cambiata, non faremmo altro che rendere quei testi più aderenti ai bisogni e alle richieste dei cittadini.

In troppi casi, l’applicazione di alcuni principi ha prodotto risultati incomprensibili ai più. Penso, ad esempio, ai casi nei quali, in applicazione della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, viene impedito alle Nazioni parte di espellere stranieri che si sono macchiati di crimini particolarmente gravi, per poter difendere la sicurezza de propri cittadini.

La tutela di profughi e rifugiati va ripensata per renderla più efficace e meno ipocrita, e questo può vuol dire una accoglienza minore sui nostri territori ma anche maggiore sostegno nelle aree di crisi.

Abbiamo preso atto della disponibilità del Segretario Generale del Consiglio d’Europa Berset di approfondire questi temi, e con i nostri partner intendiamo avviare una discussione politica seria, ma anche analizzare tutti gli strumenti giuridici a disposizione, perché, come ha detto lo stesso Segretario Generale, non ci devono essere tabù sulla possibilità di aggiornare alcuni aspetti della Convenzione, ovviamente senza mai mettere in discussione i diritti fondamentali che tutti condividiamo e che sono alla base della società europea.

Il Consiglio Europeo farà il punto anche sui progressi nel processo di allargamento, quella che a me piace definire riunificazione dell’Europa, con un focus particolare dedicato ai Balcani Occidentali e alla Moldova.

L’Unione Europea ha lasciato per troppo tempo un vuoto nei Balcani Occidentali, che altri attori internazionali hanno, come sempre accade, tentato di colmare. Ma queste Nazioni non sono semplici “vicini”.

I Balcani non si trovano ai margini dei confini europei o addirittura al di là del nostro Continente. Si trovano nel cuore del nostro Continente, sono la regione di cerniera tra l’Est e l’Ovest, tra quelli che San Giovanni Paolo II amava definire i due “polmoni” d’Europa. Per questo motivo, l’Italia è impegnata a Bruxelles a far valere un approccio strategico ai Balcani Occidentali che tenga conto, pur nella complessità delle sfide che l’area presenta, della necessità di fornire a questi Paesi una chiara prospettiva di integrazione nell’Unione europea.

È evidente come l’allargamento porti con sé nuove sfide alle quali dovremo essere capaci di rispondere, ma io rimango convinta che l’integrazione europea dei Balcani Occidentali – così come verso Est – rappresenti anche un investimento strategico nella sicurezza stessa dell’Europa, ancor più alla luce di ciò che sta accadendo ai nostri confini.

Albania e Montenegro sono “corridori di punta” nella regione. Dobbiamo consolidare i loro progressi, anche per favorire la ripresa del percorso europeo degli altri Candidati, a partire dalla Serbia. E In questo contesto, è fondamentale continuare ad attuare il Piano di crescita per i Balcani Occidentali, per sostenere le riforme e il cammino verso la famiglia europea.

Il 4 luglio si svolgerà, poi, il Primo Summit UE-Moldova, fondamentale per approfondire il Partenariato tra Chişinău e Bruxelles, in settori di interesse comune e ad alto valore aggiunto come sicurezza e difesa, migrazione, energia, digitale, trasporti e competitività, mentre prosegue il percorso per l’adesione della Moldova alla UE.

Infine, il Consiglio Europeo sarà l’occasione per discutere anche dei passi avanti fatti sui temi della competitività dal Consiglio dello scorso marzo, quando i nostri lavori si sono concentrati su materie come l’urgenza della semplificazione, la necessità di un’energia disponibile per tutti, e al giusto prezzo, e l’adeguatezza degli investimenti necessari.

Sosteniamo e incoraggiamo gli sforzi di semplificazione profusi dalla Commissione attraverso i diversi Pacchetti Omnibus che sono stati presentati, e che sono attualmente in fase di discussione. Se qualche anno fa il fardello delle complicazioni che ci siamo autoimposti era da considerarsi un errore, nell’attuale contesto quell’errore diventa imperdonabile. Il mondo intorno a noi cambia, e corre, e non possiamo essere competitivi se ci costringiamo a correre con un inutile fardello sulle spalle.

Strumenti normativi come le Direttive sulla sostenibilità delle imprese stanno dimostrando i propri evidenti limiti, e come Governo stiamo lavorando, come sempre, a tutela della competitività delle nostre imprese. Così come sulle proposte per semplificare i finanziamenti europei, la Politica Agricola Comune, o creare una nuova categoria di imprese a media capitalizzazione con regime semplificato.

Abbiamo, inoltre, accolto con interesse la Comunicazione della Commissione sulla Strategia per il Mercato unico, che è in linea con le aspettative e le priorità individuate dall’Italia. Dobbiamo continuare ad insistere sulla semplificazione, armonizzare le regole per la circolazione di beni e servizi, porre al centro le PMI e facilitare la digitalizzazione.

Guardiamo con altrettanto interesse alla Comunicazione della Commissione sulla strategia UE “Startup e Scaleup”, che si pone come obiettivo quello di rendere l’Europa il luogo dove far crescere imprese innovative.

Ci attendiamo, ora, dalla Commissione, proposte di azioni serie ed efficaci per far tornare l’Europa al centro dell’innovazione tecnologica.

Per quanto riguarda il settore automobilistico europeo, sappiamo che è un settore che sta attraversando una vera e propria crisi, e sappiamo che quella crisi ci impone di rispondere con coraggio. Il Governo lo sa bene: da tempo insistiamo sulla necessità di un radicale cambio di rotta e di un piano per garantirne il futuro del settore, a partire dal superamento degli aspetti più surreali del Green Deal. È grazie anche al nostro instancabile impegno – dimostrato tra l’altro dal non-paper promosso insieme alla Repubblica Ceca e altri partner europei per una nuova politica europea per l’automotive – che la Commissione Europea ha presentato il Piano d’azione industriale per il settore automobilistico europeo, di cui è necessario garantire una rapida attuazione.

Occorre un quadro normativo chiaro e prevedibile, un vero sostegno alla filiera europea, compresa quella per la produzione di batterie, e occorre assicurare condizioni di parità con i mercati internazionali, per esempio attraverso accordi con Partner affidabili.

Abbiamo, in particolare, sostenuto la decisione di introdurre flessibilità per consentire ai produttori di automobili di evitare costose multe e scongiurare fenomeni di “pooling” — vale a dire l’alleanza di comodo con altri costruttori, spesso stranieri, per compensare le emissioni di CO₂ — che comportano inevitabili danni alla competitività dell’industria europea.

Tuttavia, nel settore automobilistico continua a mancare un solido e inequivocabile riferimento alla neutralità tecnologica, nonostante l’ultimo Consiglio europeo di marzo scorso abbia richiamato questo concetto tra i principi alla base di un mercato unico e un’industria più competitivi – altro risultato che possiamo rivendicare con orgoglio.

Occorrerà quindi insistere, nell’ambito della più generale revisione della normativa su automotive, affinché tutte le tecnologie utili al processo di decarbonizzazione vengano prese in considerazione, tra cui i biocarburanti, e-fuels e idrogeno.

Proprio in questo senso, annuncio che sto lavorando insieme al Presidente Macron e al Cancelliere Merz per definire delle linee comuni a sostegno del settore automobilistico europeo. Sono certa che le nostre tre Nazioni, lavorando insieme, possano fornire uno stimolo fondamentale alla riflessione in corso.

In conclusione, onorevoli Deputati. Viviamo un periodo di grande tensione globale, nel quale è necessario mantenere il timone saldo e la rotta tracciata coerente.

E la rotta, per noi, è chiara: un’Italia protagonista in tutti i tavoli, costruttrice di ponti e di dialogo con tutti i partner, chiara nel suo posizionamento euroatlantico e mediterraneo, salda nella guida grazie a un governo che ha messo finalmente al centro l’interesse nazionale, e lo persegue ogni giorno, su ogni tema.

Forti delle nostre posizioni, della credibilità che ci siamo guadagnati con lealtà e franchezza, della visione che accumuna una maggioranza solida, e di un popolo italiano ancora capace di stupire il mondo, continueremo a lavorare senza risparmiarci, senza condizionamenti e senza paura, come sempre nell’esclusivo interesse dell’Italia e degli italiani.

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