Alla vigilia del vertice dell’Aia, lo spettro di un disimpegno americano agita le cancellerie europee. Ma un’Alleanza Atlantica ricalibrata su Bruxelles, con forze e fondi europei, non è un’utopia: servono visione, pragmatismo e, forse, un nuovo trattato
Tra poco si aprirà il vertice della Nato all’Aia e non è esagerato dire che molti hanno il fiato sospeso. Dopo le recenti performance di Trump, nello Studio Ovale e alla riunione del G7, nulla potrebbe sorprendere. Forse la cosa più sorprendente sarebbe un atteggiamento ortodosso, pago di ottenere promesse (quanto realistiche?) di un generalizzato impegno degli altri membri a giungere nel futuro a spese per la difesa pari al 5 per cento del rispettivo pil. Ma un prudente pianificatore deve predisporre varie opzioni, in primis quelle per il caso peggiore, in modo da reagire razionalmente, evitando che si cada nel panico.
Dal punto di vista strettamente giuridico, una dichiarazione di uscita degli Stati Uniti dal Patto atlantico troverebbe un ostacolo formidabile nel fatto che Trump avrebbe bisogno di una maggioranza di 2/3 al Senato per procedere in quella direzione, ma il Potus ha già dimostrato di curarsi assai poco di tali quisquilie.
Ma nulla si opporrebbe a un ritiro delle forze Usa presenti in Europa e a uno “svuotamento” della partecipazione americana alle strutture civili e militari della Nato. Allora, perché non cominciare ora a pensare a come rimpiazzare il personale Usa a Bruxelles, così come in tutta l’articolata struttura di comando, a Mons, come a Brunssum, a Lago Patria etc., con personale di paesi europei “volenterosi”? Con un sapiente ridisegno degli organigrammi e dei relativi schemi “flag to post” (a quale paese compete ogni specifica posizione), l’esercizio non appare improbo.
Anche dal punto di vista finanziario, nel caso Washington decida di tagliare a zero i propri contributi per il funzionamento delle strutture, non ci sarebbero soverchie difficoltà: con buona pace dei piagnistei trumpiani, il contributo degli Usa al bilancio per il funzionamento della Nato (da non confondere con le spese per la Difesa) è del 15,9 per cento su un budget complessivo per il 2025 di 4,5 miliardi di euro: non credo ci sarebbero difficoltà a supplire.
Ovviamente tutto non potrebbe concretizzarsi se non dopo un accurato confronto negoziale, di cui non è certo possibile nascondere le insidie e le difficoltà, anche perché tutta questa complessa organizzazione non nasce nel vuoto, discende dal dettato del Trattato del Nord Atlantico, sottoscritto a Washington nel 1949.
E’ dunque legittima una riflessione se una evoluzione di tale portata non renderebbe necessaria una revisione del testo per adattarlo a una situazione strategica e pertanto organizzativa così radicalmente mutata. Non v’è dubbio che gli accordi che discendono dal Trattato, che hanno portato alla costruzione dell’organizzazione dovrebbero essere radicalmente rivisti, mentre altri, come la Convenzione di Londra sullo “Stato delle Forze”, avrebbero necessità di aggiustamenti modesti.
Il Trattato in sé, tuttavia, è un testo di natura filosofica prima ancora che politica, che enuncia chiaramente i princìpi alla base dell’Alleanza, i valori che giustificano la messa in comune delle capacità, anche militari, a protezione della convivenza civile dei popoli: i riferimenti geografici sono quasi incidentali e la configurazione dell’alleanza è suscettibile di variazioni, anche importanti, come è accaduto più volte nella sua storia, con i progressivi allargamenti, non solo, ma l’articolo 13 prevede anche le modalità con cui gli stati membri possono recedere dall’Alleanza.
Pertanto, per la formalizzazione di un nuovo assetto, che preveda un ruolo centrale per i paesi europei cui, non dimentichiamolo occorrere aggiungere anche il Canada, le modifiche da apportare non sono poi rivoluzionarie e riguardano essenzialmente i riferimenti geografici e le modalità formali di ratifica e di deposito.
Ne uscirebbe un’entità più focalizzata sul teatro europeo, con un ruolo meno pervasivo degli Stati Uniti, in cui la deterrenza dell’articolo 5 dovrebbe essere garantita dalle capacità militari collettive dei paesi europei, determinati a proteggersi vicendevolmente. Le loro forze, che comunque dovranno perseguire un processo di standardizzazione degli equipaggiamenti e dei sistemi d’arma, non avrebbero nessun problema a operare sotto il comando di una struttura che conoscono da decenni, anche se “europeizzata”. Gli Stati Uniti potrebbero comunque contribuire in modo indiretto, fornendo ad esempio un supporto di intelligence, settore in cui i paesi europei devono investire ancora molte risorse, sia nel campo satellitare che in quello dello spettro elettromagnetico; così anche il supporto logistico in particolare per gli approvvigionamenti di munizionamento, ma l’iniziativa si sposterebbe verso il nostro continente, non più attore passivo, ma tornato a essere protagonista.