Il romanzo di Cj Leede racconta di un frenetico, violentissimo coming of age che diventa metafora per la fine del mondo noto attraverso la furia del rapimento sessuale. Mette a nudo le falsità della religione di chi, di fronte alla devastazione come al desiderio, difende solo purezza, castità e verginità
“Niente è come dovrebbe essere, tutto sta cambiando. E mi chiedo se la colpa è mia”. Parla la sedicenne Sophie, cresciuta senza conoscere il mondo fuori casa o cosa c’è sotto il suo intestino, in una famiglia ultracattolica del Midwest. La sua casa non ha specchi a figura intera; il fratello gemello Noah è rinchiuso in un “santuario spirituale” per essere rieducato dopo che i genitori gli hanno trovato sotto il letto un giornalino porno gay. Finché arriva la strana febbre che sconvolge lei e il pianeta, tutto insieme, caoticamente.
La brama di estasi del risveglio sessuale di Sophie, convinta di peccare soltanto assistendo a un bacio, diventa un personale specchio ustorio per il divampare di una smania globale: l’epidemia di un virus parasifilitico che debutta con febbre, per trasformare la vittima in maniaco sessuale, incapace di fermarsi prima di aver aggredito i corpi vicini, goduti in ogni modo possibile, contagiandoli e morendo nel giro di poco. Con il romanzo Estasi americana (traduzione di Gaja Cenciarelli, Mercurio editore), CJ Leede ha raccontato un frenetico, violentissimo coming of age che diventa metafora per la fine del mondo noto attraverso la furia del rapimento sessuale; mettendo a nudo le falsità della religione, di chi, di fronte alla devastazione come al desiderio, difende solo purezza, castità e verginità. “Come possono queste cose avere importanza quando la gente muore, quando le tempeste abbattono i muri delle case?”.
Quando il padre, contagiato dal virus chiamato “Sylvia”, attacca la moglie e poi, con occhi febbricitanti, ringhiando, tenta di assalire la ragazza, Sophie fugge in macchina alla ricerca del gemello perduto, dando il via a un on the road horror tra zombie arrapati in una crescente disaster area provocata da questa cosa che “salta da una persona all’altra, si impossessa dei corpi delle persone, le possiede, costringendole a fornicare in luoghi pubblici, al di fuori del sacro vincolo, portandole a commettere sodomia, stupro, ogni genere di atti impuri…”. Si viaggia nella testa di Sophie, nell’intimità del corpo sollecitato dagli incontri con altri fuggitivi; oscilla tra l’educazione ricevuta e il richiamo di una torturante, nuova fisicità. Tra le violenze che lei e la sua decimata band on the run devono affrontare, le peggiori sono quelle provocate dai Crociati di San Michele, fondamentalisti negazionisti che bruciano i centri vaccinali, sparano ai sani, convinti di essere angeli di fronte a peccatori che devono pagare le loro colpe.
Estasi americana occupa un interessante e inesplorato vertice, in cui confluiscono tematiche young adult, scontro tra oscurantismo e ragione, echi del Covid e presagi della prossima guerra civile americana, tra fiction zombie-apocalittica e il più tradizionale on the road: tutto questo c’è, ma la ricchezza del romanzo è la voce di Sophie, inarrestabile nell’intuire e poi determinare il proprio diritto alla libertà. Nella sua onesta costruzione di uno sguardo sull’altro e di sé stessa in quello altrui, lasciando cadere da sé la repressione sessuale che la vincolava all’ignoranza, a favore di una cosa tenue, la sensazione di una possibilità. Dopo 500 pagine, non è scontato e non è pruriginoso che Sophie, finalmente, pensi questo: “Eccola lì, sotto il tessuto ruvido. La cosa che hanno i ragazzi. Questa è di Ben. È di Ben, e faccio scorrere le dita su tutta la sua lunghezza, sui jeans, la cerniera ancora chiusa”. Ed è incoraggiante – pensando alla realtà americana e non solo –la conclusione: “Questo è potere. Questa è libertà. O forse, penso, delirando, con le lacrime che mi scorrono sul viso e il vento sul collo, forse è la febbre”.