In una domenica a Milano con trentasei gradi un bambino guarda distrattamento la tv di un locale. Incendi, colonne di fumo, lampi, macerie: deve sembrargli un videogioco. Ma non lo è. Che maledetto bisogno di pregare ci sarebbe
Trentasei gradi, appena fuori dal fresco dell’androne novecentesco ti investe un’afa che ti si appiccica addosso. Il vecchio cane si affaccia, si ferma: torniamo a casa, dice. Sì, meglio blindati in casa, l’aria condizionata a palla, gli scuri chiusi. In domeniche come queste Milano pesa di più, lo si sente nell’asfalto quasi molle sotto ai piedi. In centro marciano, immagino, le truppe dello shopping forzato, educati lanzichenecchi da est, nord, sud, voraci di primi saldi. Ma se invece ti spingi verso certe periferie, l’afa schiaccia come una pressa: tra i palazzoni degli anni Sessanta – altro evo – scalcinati, in interminabili file incolori. Confortano le mutande e canottiere stese ai balconi ad asciugare – qui tuttavia abitano uomini, ti dici.
Nei bar, dei naufraghi cercano un ormeggio. Vecchi, e un padre con un bambino con uno zainetto. Sono i bambini pendolari nel weekend, i bambini a metà. Questo papà intento sullo smartphone sembra non sapere che dire al figlio. Lui, sette anni, lecca un ghiacciolo e guarda distrattamente la tv del locale. Incendi, colonne di fumo, lampi, macerie. Sguardo assente. Al bambino deve sembrare un videogioco. Deve sembrare un videogioco anche agli avventori, concentrati sui Gratta e Vinci. Grattano e perdono con meticolosità. Tornano alla cassa: “Altri due”. La barista cinese glieli allunga senza alzare gli occhi. Un videogioco. Lampi, esplosioni, centrato. Autorevoli voci assicurano che resterà una guerra “locale”, e lontana. Anche prima della invasione russa dell’Ucraina gli osservatori dicevano: impossibile. Ormai diffido degli osservatori autorevoli. Mi pare che ragionino con categorie del Novecento: destra e sinistra, popolo e classe dirigente, e dismesse categorie della politica. E tutto questo invece non esiste più, spazzato via dal Terzo Millennio. In questa domenica Anni Venti, afa cambogiana, ti rintani sul divano sotto al Daikin, o ti affacci al fresco – speri – di una chiesa. Vuota. Eppure, che maledetto bisogno di pregare ci sarebbe.